Con
uno sguardo a volo d’uccello, come se sfiorasse appena le storie
che racconta, John Updike mette insieme una ventina di bozzetti di
vita americana, lontano dai clamori metropolitani e televisivi, che
mostrano un’umanità ben diversa da quella a cui ci hanno abituato
le cronache quotidiane. Forse, se l’elegante scrittura di John
Updike non inganna, persino migliore. Tutte concentrate nell’ambito
famigliare (per quanto divorzi o separazioni tendano a ridurre gli
spazi) le esistenze dei personaggi di Fratello
Cicala sembrano
leggermente spostate rispetto all’asse dei miti e dei luoghi comuni
dell’America di oggi. C’è un calore umano, una ricerca del
focolare casalingo (i racconti sono curiosamente popolati di camini
in cui arde legna odorosa), un costante tentativo di riallacciare i
rapporti con il passato, con un passato che sembra nascondere ancora
soluzioni e alternative, forse anche perché “nessuno ci appartiene
tranne che nel ricordo”. Il presente è relativo: i grandi drammi
della nostra epoca, la complessiva e generale perdita di identità
data dall’assuefazione al mezzo televisivo (e alla tecnologia in
genere) restano sullo sfondo, vengono messi in sordina. Una scena
particolarmente efficace descrive questa situazione in L’uomo
che era diventato soprano,
quando i membri dell’improvvisata orchestra di flauti dolci che è
al centro dell’attenzione si ritrovano a suonare “anche se le
notizie del giorno avevano annunciato qualche sciagura (un massacro a
Beirut, l’esplosione del Challenger)” e persino “durante la
settima partita dei Red Sox per le World Series, il cui andamento gli
uomini avevano controllato ogni tanto sul televisore che
chiacchierava con se stesso in cucina”. La scrittura di John Updike
è questa: piccoli dettagli incastonati in storie semplici, legate
indissolubilmente al quotidiano, sottili segnali che raccontano
tutto. Un modo di interpretare la letteratura fuori dalle righe:
affiora soltanto una fugace citazione da Henry James, ma il vero
centro dell’attenzione, nelle short stories di Fratello
Cicala,
sono loro, i vari Billings, Maple, Jessup, Whittier, Weiss, Eggleston
chiamati per cognome, come a sottolineare l’appartenenza ad una
famiglia, o almeno a un’unità, i veri, assoluti protagonisti.
Uomini e donne che hanno più da ricordare che da inventare, e che si
ritrovano a combattere il dolore, a conoscere la morte e a guadare i
travagli della vita cercando soluzioni con l'unico strumento che
all’umanità è concesso in più rispetto al resto del mondo. E’
la parola, cerca di convincerci John Updike, la sola possibilità di
redenzione, o di peccato, volendo, e non è difficile lasciarsi
coinvolgere e dargli ragione, leggendo i racconti di Fratello
Cicala.
E non è tutto, perché in alcuni punti (a partire da Viaggio
nel regno dei morti)
il lirismo di John Updike raggiunge vertici in cui l’unica chance
di comprensione è offerta dal territorio delle emozioni, una zona
che viene sensibilmente messa alla prova da queste illuminate short
stories.
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