mercoledì 2 luglio 2025

Lou Reed

Tra i ricordi collezionati per Il mio Tai Chi, spicca quello di Fernando Saunders, bassista che cominciava la collaborazione di Lou Reed nell’autunno 1981 con la registrazione di The Blue Mask: “Penso che quando l’ho conosciuto, Lou avesse dei demoni, c’entrava l’alcol e roba del genere. Ha smesso di bere proprio quando l’ho conosciuto. Proprio poco prima che ci incontrassimo. Mi parlò di tutta la faccenda. Sai, Lou faceva sempre battute, anche sulle cose peggiori. Quando ci siamo conosciuti, parlava spesso con me della vita. Immagino che avesse bisogno di confidare queste cose a qualcuno”. È il momento in cui tutte le maschere sono cadute. L’inversione di marcia è radicale, almeno quanto gli oltraggi che l’hanno preceduta. La questione è semplice, secondo Lou Reed: “Sono molto hardcore. Seguo la palla che rimbalza ovunque vada, e non mi interessa”. In quel momento si trattava di scegliere la sopravvivenza e le arti marziali hanno rappresentato l’occasione per superare gli anni pericolosamente vissuti “sull’altro lato”. Lou Reed: “Alcuni dei miei interessi sono piuttosto scellerati. Avevo in mente cosa volevo, ma non sapevo bene come ottenerlo. Conoscevo tutte le cose che non bisognerebbe fare, ma non quelle che si dovrebbero fare”. Il nuovo corso comprende l’appiglio al Tai Chi come espressione di una disciplina indispensabile a contenere i danni ed è allora che diventa uno strumento di ricerca, un modo per ritrovare un centro permanente di sobrietà e stabilità, un’ossessione senza controindicazioni. New York, sullo sfondo. Dal tetto della casa di Lou Reed si vede l’Hudson. Lui pratica tutti i giorni e l’assiduità della preparazione è segno di una decisione e una fede rinnovate. Il suo approccio è unilaterale e non nasconde l’idea di ristabilire una connessione con il fisico segnato dagli abusi e dalle dipendenze. Non è facile perché, proprio come dice Lou Reed: “Siamo un corpo, un grande tendine. Dobbiamo essere pacificatori di noi stessi”. L’esercizio continuo del Tai Chi si fa rassicurante, e si trasforma in una fonte di rinnovata energia. Lou Reed, prima di tutto, ci crede ed è il suo afflato che trascina tutta una comunità di praticanti come lui. È entusiasta al punto di portarsi il maestro in tour e sul palco come se fosse la cosa più naturale al mondo. Si capisce che il Tai-Chi è una zona franca, dove non intervengono le logiche distorte dell’industria discografica e dello show business e si rivela un’occasione di incontro, di confronto, e di amicizia. “L’arte dell’allineamento” occupa una posizione centrale nella vita quotidiana di Lou Reed e la sua dedizione per il Tai Chi diventa lo spunto per conoscerlo nell’intimità, nei suoi desideri e negli ultimi, strazianti momenti, attraverso i punti di vista diversi di insegnanti, medici, colleghi, complici. Il coro delle testimonianze è ricco e assortito e i testimoni raccolti da Laurie Anderson sono tanti tra cui Iggy Pop, Jonathan Richman, Wim Wenders, i produttori Bob Ezrin e Tony Visconti che sintetizza l’arte dei Tai Chi con “spingere la testa verso il cielo e tenere i piedi saldamente per terra”. È un profilo “obliquo” di Lou Reed, molto acuto: le voci compongono un ritratto con molte sfumature differenti che, se sommate, offrono un quadro realistico degli ultimi anni di Lou Reed, così come lo racconta Anne Waldman in un denso ed elegiaco ritratto: “Lou era un artista straordinario: bello, inebriante, imprevedibile. Aveva una voce originale e un suono distintivo, e sexy. E possedeva molteplici personalità, cambiava costumi e volti e stati d’animo diversi. Lui è l’imbroglione non binario. Gli album sono mondi completi e opere in sé e per sé. Storie, poemi epici”. Se il Tai Chi è una costante, Lou Reed è visto in modo tridimensionale, anche se gli angoli più scomodi, difficili da negare, sono smussati. Associare l’autore di Heroin al Tai Chi è qualcosa in più che contraddittorio, però è anche l’evidenza che il cambiamento ha una sua forza specifica e che la trasformazione è vitale come sostiene Hal Willner: “Lou era un artista in continua transizione, non si fermava mai, era sempre alla ricerca di ciò che veniva dopo”. Lou Reed l’ha reso possibile con la stessa convinzione dedicata al Tai Chi: “Costruisci, costruisci, costruisci. Ecco come”. Inarrivabile.