Ancora una volta, “in giro per l’America”, prende forma più che un reportage turistico, una “topografia della mente” e per William Least Heat-Moon quello lungo Le strade per quoz è un viaggio diverso da tutti gli altri. Non è circolare e istintivo come Strade blu (a suo modo, generico), non è specifico e concentrato come Prateria o monotematico come Nikawa, ma in un certo senso li riassume tutti. Scorrono taverne e pescatori, contrabbando e speculazioni in Florida, fuochi fatui in New Mexico, le foreste del Maine, città fantasma e spiriti irrequieti, le spedizioni di Lewis e Clark e di Hunter e Dunbar, antiche pietre miliari e biciclette sulla ferrovia, esperimenti ed eccentricità, l’omaggio dovuto a Jack Kerouac e alla Beat Generation nonché l’ombra di Thoreau e quella di Mark Twain, i due punti di riferimento di un “cronista delle strade americane” come si definisce William Least Heat-Moon. Per l’occasione rinuncia alla solitudine e viaggia in compagnia di Q e, a ritroso nel tempo, di Mo e Le strade per quoz prevedono “un programma fatto più di direzioni che di destinazioni”. La meta è l’ideale quoz, in effetti più uno state of mind, che una tappa geografica, tenendo comunque ben presente due concreti capisaldi. Il primo riguarda da vicino lo spirito dell’osservazione perché “nominare qualcosa, di reale o immaginario, significa dargli vita nel mondo reale del suono. Dal nulla sorge qualcosa”. Come diretta conseguenza, il secondo turning point che prevedono Le strade per quoz dipende dal fatto che “è nella nostra natura prendere parte a un luogo e ai suoi avvenimenti restituendoli in immagini e in parole, e in questo modo giungere a un’appartenenza: appartenere non semplicemente a un luogo, ma all’interno di esso”. La riscoperta dell’America è una cronaca alla ricerca dell’autenticità o di una storia da raccontare, assecondando comunque il precetto per cui “partire non sapendo esattamente il perché è proprio il motivo primario per partire, e scoprirne il perché è l’esito più promettente e potenzialmente soddisfacente”. Il termine e la definizione del viaggio in sé occupano spazi ricorrenti lungo Le strade di quoz. L’istinto a partire nasce, senza dubbio, da “quel vecchio stimolo che c’è dentro di noi a trovare tracce di un significato etereo-cosmico nelle nostre vite, un briciolo di prova che suggerisca che il nostro piccolo assemblaggio di atomi su due gambe sia qualcosa di più di un breve e irrilevante interludio”. Poi il quoz è sparso in dettagli, frammenti, colpi d’occhio, aneddoti, pause e scintille che William Least Heat-Moon colleziona ben sapendo che “il tempo trasforma i luoghi comuni in cose insolite”. In questo senso Le strade di quoz riservano molte sorprese: si scopriranno il jackalope e altre creature, come Estrarre raggi di sole dai cetrioli e perché Gli hippy entrano dalla porta laterale. Essendo uno storyteller convinto e scrupoloso, William Least Heat-Moon si attorciglia agli aneddoti, ai racconti e alle chiacchiere con gli sconosciuti, anche quando resta incagliato nella rievocazione della Route 40 o nel caratteristico neologismo di “fiumitudine”. Concetti già espressi altrove, come la descrizione dell’interminabile sequenza dei cartelloni pubblicitari di Burma Shave, sì, proprio come avviene nella canzone di Tom Waits. Il cliché è dietro l’angolo, un po’ come il menù della tavola calda a conduzione famigliare, e la vicenda di William Grayston (“Non possiamo scegliere i nostri antenati, ma loro spesso, in modi impossibili da indovinare, possono selezionare pezzi del nostro futuro”), che occupa la parte centrale del libro, è più roba da topo di biblioteca che da esploratore moderno. William Least Heat-Moon pare accorgersi dei rischi di queste deviazioni quando dice che “in verità, per amare la realtà della strada, un viaggiatore fa bene a mettere in valigia un piccolo martello emotivo e tenersi pronto per usarlo spesso”. Questa è un’avvertenza più che ragionevole in ogni caso, ma ancora di più per il territorio specifico che attraversano Le strade di quoz dato che “in centinaia di modi, l’America è arrivata dov’è perché la sua gente può essere attratta da una destinazione in maniera maniacale; e per la stessa ragione l’America non è dove non è”. È così che grazie a un paradosso (o due) diventa tutto più chiaro: si tratta di cercare “il nostro posto in questo nostro posto”, che poi è il quoz fondamentale e, per certi versi, inarrivabile.
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