Nell’effervescenza del Village, siamo nell’anno di Like A Rolling Stone, il fatidico 1965, approda una giovane donna, Judie, attratta dalle melodie e dalle figure di Judy Collins e Pete Seeger, e non solo. Sono tempi in cui il potere nascosto nelle canzoni emerge come la colonna sonora di un momento irripetibile e Judie ha un’avventura fugace proprio con un songwriter, Eamon Foley, da cui nasce una figlia, Rose, che viene data in adozione. Non una novità: all’epoca è capitato davvero a Joni Mitchell e in seguito a Patti Smith, richiamata più avanti, quando la musica è già cambiata. Insieme alla sorella Sylvia, Judie è un po’ il cardine delle Singer Sisters, ma tra le due anche la più fragile. Le carriere si alternano in cerca di una definizione perché “le canzoni potevano essere rese sofisticate. La cosa da fare era aggiungere bridge, ritornelli, strofe”. Il confronto è continuo, le Singer Sisters si avviano a diventare eroine di un’epoca, poi Judie poi sposa un altro musicista, Dave Cantor o Dave Canticle per il resto del mondo, da cui ha Leon ed Emma. Le gravidanze e la maternità, che non si addicono a una rock’n’roll star, la tengono lontana dal songwriting e dalla musica, mentre il marito è in tour e i figli crescono e diventano a loro volta musicisti. Resta il segreto di Rose che irrompe nella vita di Emma: lampi del passato s’intersecano con il presente e il futuro e gli anni fuggono. Il massacro alla Kent State University, il Watergate, la guerra del Vietnam sono ombre cupe sullo sfondo, la musica folk resta ancorata alla sua natura mentre l’evoluzione musicale si fa via via più rapida. I cliché si susseguono senza sosta: in cerca di un singolo di successo, in partenza per il tour, ma ancora di più all’inseguimento di “una canzone folk, di quelle che la gente canta sotto il portico nelle notti d’estate”, le Singer Sisters, Dave Canticle, e poi Emma e Leon attraversano i rapporti famigliari in una saga tutta femminile di madri, mogli, figlie e sorelle, valida per tutto l’ultimo quarto del ventesimo secolo fino al 2003. Tra gli studi di registrazione e le distorsioni dell’industria dello spettacolo (incluso un falso flirt di Emma), le case riempite e svuotate e i viaggi in Europa i rapporti si dipanano lungo un intero albero genealogico e le vicissitudini personali (incontri, separazioni, matrimoni, rivelazioni, fallimenti, successi) si sovrappongono e confondono con la nascita di strofe e ritornelli e bridge, con “i suoni dei loro desideri trasformati in poesia e canzone” e con la loro percezione divisa tra genesi privata ed esposizione pubblica. Come dice Judie sarà anche “pura speculazione, certo. Ma riempiva il buco della serratura del suo cuore”. È vero: le canzoni sono messaggi che, da una persona all’altra, superano le barriere emotive e in qualche modo “ti raggiungevano nella tasca posteriore al di là del tuo io pensante, il luogo in cui i colori e i sentimenti e i vettori di luce saltavano intorno a te, entravano e uscivano da te, ti cambiavano dalla persona che eri il giorno prima e almeno temporaneamente fermavano le domande che ti tormentavano la notte”. È così che scorre l’intesa storia delle Singer Sisters, nonostante i sommovimenti dei personaggi che, a più riprese, ricordano molti volti noti nella realtà. A un primo approccio si possono intravedere Joan Baez, Mimi e Richard Fariña, poi, con lo sviluppo dei legami a un livello superiore, è forte il richiamo alla famiglia allargata McGarrigle-Wainwright, (compreso Leon, che somiglia molto a Rufus Wainwright), forse un po’ anche le Roches. Sì, Bob Dylan è inevitabile e onnipresente, ma in incognito, con titoli e versi delle canzoni che viaggiano nell’atmosfera e si infilano nelle pieghe delle vite, come nessun altro è riuscito fare.
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