Una
delle voci più originali della letteratura nativa americana, Luci Tapahonso,
sovrappone racconto e poesia, li alterna e li scambia lungo “il confine sottile
di un miracolo”, il compromesso tra il navajo e l’inglese. Sono due vocabolari
molto diversi, che tengono insieme “le fragili vite” e confluiscono in una
lingua essenziale e scheletrica. Se a prima vista la scrittura raccolta in Sáanii
Dahataał può apparire
istintiva, se non addirittura naïf, c’è invece un sentimento solidissimo
radicato nelle sue fondamenta. Le “vie dei canti” di Luci Tapahonso
appartengono a una cultura offesa, minacciata, vessata e distrutta, ma che non
è mai stata dimenticata e le sue liriche usano una lingua che sopravvive nel
ricordo perché lo scopo trascende le pagine in cui è incastrata: “Per molte
delle persone che, come me, risiedono lontano dalla propria terra, scrivere è
il mezzo per tornare, per rinnovarsi e per riportare i nostri spiriti allo
stato di hohzo, o
bellezza, che rappresenta la base della filosofia navajo. E’ una piccola parte
della cosa vera, ed è
funzionale, ma, man mano che la cultura navajo cambia, noi ci adattiamo di
conseguenza”. L’ossessione per le parole non deve nemmeno essere giustificata,
anche se Luci Tapahonso si premura di precisarne la funzione e, va da sé,
l’importanza: “Le parole generano bellezza, felicità, riso, calma come anche
distruzione e morte, quindi fate attenzione al modo in cui le usate. In navajo
diciamo che il sacro ha inizio sulla punta della lingua”. Sáanii Dahataał che è il modo migliore per aprire una
porta a Luci Tapahonso parte proprio da lì, votato a “ordinare e riordinare con
cura parole e pause che erompono come ricordi dal pieno respiro”, come scrive
in Fuori da una piccola casa.
E’ “un’irrequietezza innominabile”, quella che spinge con insistenza verso la
memoria, una vocazione a collocare “un senso di eredità culturale come un senso
della storia”, quasi a costruire un rifugio con le parole stesse. Succede in E’
notte in Oklahoma, una
toccante poesia in cui i due protagonisti, in fuga dal dolore e dal gelo di
avvolgono uno nell’altra e dicono: “qui dentro, noi respiriamo la pelle
dell’altro, ci muoviamo per sentire il battito dei nostri polsi, e questa è
l’unica rassicurazione delle nostre fragili vite”. Questo sfuggente equilibrio
permea tutto Sáanii Dahataał,
senza distinzione tra poesie, canzoni o racconti, ed è tra i motivi principali
che rendono la scrittura di Luci Tapahonso così vivida e magnetica. Il
confronto con un altro idioma, usato come uno strumento per saldare tante,
diverse visioni non intacca la scintilla originale, che è evocata, fin dal
titolo, in Ricorda le cose che ci hanno detto: “Ogni suono che facciamo evoca la
potenza di questi venti e noi siamo, allo stesso tempo, miti e forti”. Il
cuore, l’epicentro e la stella polare di Sáanii Dahataał sono proprio lì, e sembrano prodotti
dall’eco tramandato nel tempo di un antico canto navajo: “Tutto quello che hai
visto ricordalo, perché tutto quello che dimentichi torna a volare nel vento”.
Nessun commento:
Posta un commento