L’attualità
di Preparare un fuoco,
scritto tra il 1902 e il 1910 rimane sorprendente, per non dire profetica, a
distanza di un secolo. Le condizioni assolute, più che estreme, in cui cammina
Tom Vincent o Tom Collins (così è variato il nome del protagonista di Preparare
un fuoco nel corso delle
diverse versioni) è la sua lampante incomprensione della stessa realtà della
wilderness, che permette a Jack London di evidenziare e acuire la distanza tra
l’uomo, e per estensione il genere umano, e la natura che incombe sopra di lui.
Preparare un fuoco sarebbe
un’attività che rientra nella routine delle normali procedure quotidiane, ma
nella rigidità dell’inverno dello Yukon diventa una questione di vita o di
morte, senza eccezioni. Le due versioni di Preparare un fuoco, pur nella differenza dell’evoluzione
finale, mostrano l’incapacità dell’uomo di assoggettarsi ai propri limiti e di
comprendere quelli imposti dalla natura. Anche i bizzarri tentativi di
antropomorfizzare i fenomeni naturali sembrano un frutto dell’arroganza e
dell’euforia, almeno alla partenza, come scrive Jack London: “Nonostante tutto
si sentiva presente, aveva la percezione di una gioiosa ebbrezza, una vera
esultanza; stava facendo qualcosa, stava raggiungendo un obbiettivo, dominava
gli elementi”. E’ proprio quella l’esca che attira l’uomo nella sua stessa
trappola perché la natura, l’inverno, il ghiaccio e la neve sono lì e non si
inventano niente. L’idea di sfidarli e il tentativo di controllarli è insito
nell’esigenza dell’uomo di provare la sua stessa esistenza. La fatica di
comprenderli rimane esclusa, ed è questa la morale, perché c’è una morale, in Preparare
un fuoco. La sua
sconfitta non è la vittoria della wilderness che è indifferente al destino
umano. E’ un fallimento, dovuto alla negazione dell’istinto primordiale e
all’azzeramento dell’esperienza, più percepibile nell’ultima versione del
racconto, dove interviene un terzo elemento, quello animale. Lo precisava
meglio George R. Adams: “Attraverso il parallelo tra uomo e cane, London suggerisce
una sorta di perverso e ironico processo evolutivo: gli esseri umani finiranno
per snaturare il cane, rendendolo talmente dipendente e oggettivato che non
sarà più in grado di sopravvivere nel proprio ambiente: quindi non sarà nemmeno
più utile per servire o salvare gli esseri umani”. Sull’ereditarietà dei
caratteri il dibattito resta aperto, ma Preparare un fuoco resta un tassello importante nella
variegata bigliografia di Jack London perché traduce in uno splendido frammento
narrativo, quello che Charles Darwin aveva già intuito in Diario di un
naturalista intorno al mondo:
“Noi non teniamo sempre presente alla mente la profonda ignoranza in cui siamo
delle condizioni di vita di ogni animale”. Nella categoria è compreso anche in
genere umano e “mai viaggiare da soli”, l’imperativo da rispettare nel gelo
dello Yukon, vale anche in senso lato perché dice che bisognerebbe condividere
e restare vicini alla sostanza degli elementi e dei fenomeni naturali. Sfidarli
rimane molto pericoloso, oltre che inutile.
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