Nicolaj Hel, sopravvissuto alla seconda guerra
mondiale, ai servizi segreti americani, sovietici e cinesi coltiva l’idea dello
shibumi in un castello basco, dedicandosi al suo giardino musicale, alla
concubina, alla speleologia e ai picareschi amici che lo circondano. “Shibumi allude a una grande
raffinatezza sotto apparenze comuni. E’ un’affermazione che non ha bisogno di
essere ardita, così acuta che non dev’essere bella, così vera che non
dev’essere reale. Shibumi è comprensione più che conoscenza. Silenzio
eloquente”: questa è la definizione dello stato di grazia, per semplificare e
abbreviare, che va cercando Nicolaj Hel. Dal suo punto di vista, ne ha avuto
abbastanza e ha deciso di ritirarsi e si è convinto che “una volta isolato dal
futuro, il passato diventa una parata insignificante di banali avvertimenti,
non più organici, non più possenti o dolorosi”. Il suo karma e il suo codice
d’onore invece gli dicono qualcosa di diverso, e che non gli piace, attraverso
l’arrivo di Hannah Stern, sopravvissuta a un massacro all’aeroporto di Roma,
peraltro sventagliato fin dall’incipit. Nicolaj Hel è la prima volta che vede
la ragazza: impreparata, volitiva, più incosciente che coraggiosa, e ormai
disperata. Conosce da anni lo zio, Asa Stern, con cui ha condiviso alleati e
nemici e a cui è legato da un antico debito, quanto basta per accantonare senza
particolari esitazioni la sua vocazione allo Shibumi e affrontare, insieme al
suo passato, le ingerenze di un mondo avvinghiato a interessi economici,
politici e militari di cui ormai non si non si percepisce più nemmeno il
perverso disegno perché, parole sacrosante, “abbiamo a che fare con mentalità
mercantili e militari, e la stupidità è il loro idioma intellettuale”. L’azione
è colorita, rapida, spumeggiante (anche un po’ fumettistica, che non guasta) e
anche le parti più riflessive sono accattivanti, con le proiezioni di Nicolaj
Hel e il suo continuo inseguimento verso lo Shibumi. Il tono è giocoso
senza essere superficiale, ironico quanto basta, leggero ed effervescente nella
forma e comunque denso di piccoli e grandi riferimenti, distributi a ogni
svincolo della trama rendono la
scrittura invitante, avvolgente e convincente. Trevianan alias Rodney William
Whitaker non cerca particolari forme o evoluzioni stilistiche: ha il gusto per
il dettaglio insolito, un’ironia strisciante, anche una spiccata vena polemica
perché la trama è costruita per intrecci e sovrapposizioni, un concatenarsi di
eventi personali e storici, su cui non manca mai una nota dissonante. Nel resto
è accomodante e cordiale con il lettore come Nicolaj Hel con i suoi ospiti per
poi riservare colpi di scene e sorprese a ripetizione. Shibumi è una spanna sopra
l’intrattenimento, una spy story di gran classe, che si legge senza particolari
sforzi e con soddisfazione tanto che, una volta chiusa l’ultima pagina, si
sente la mancanza di Nicolaj Hel, della sua dieta (da cui sono esclusi gli
ospiti), della sua filosofia, e anche delle sue contraddizioni (perché è molto
umano, nel suo essere fin troppo speciale).
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