lunedì 24 maggio 2010

David Mamet

Uno tra i più importanti drammaturghi americani, tra tutti quello che sa scoprire i nervi di una società complessa ed ambigua, racconta il paesaggio bucolico e campestre del Vermont, dove ha deciso di vivere. Per David Mamet non si tratta soltanto di un rifugio nella provincia e nella natura più o meno incontaminata: è proprio una scelta di vita, per non dire politica. Il Vermont diventa un laboratorio naturale dove gli uomini e le donne, i loro legami, le storie raccontante (e anche quelle nascoste) hanno una consistenza fondamentale nell'economia quotidiana delle small town. David Mamet lo racconta con un tono molto più intimo e personale rispetto alle commedie e alle sceneggiature, forse aiutato dall'ambiente, dalla wilderness, dalle rigidità dell'inverno e dalla necessità di affrontare se stessi senza il rumore di fondo metropolitano. Ne nascono alcune scoperte curiose, e non prive di una certa profondità perché, come scrive giusto all'inizio di Vermont, “ci sono emozioni che tutti percepiamo ma che non riusciamo a definire (...) Non si tratta di un meccanismo cosciente; è ciò che sopravvive della parte primordiale, sconosciuta e potente della vita. Allo stesso modo c'è un mistero in tutto ciò che è impalpabile. Affiora con evidenza al momento della nascita e della morte, ma è sempre presente, con regolarità, in modo intermittente; è qualcosa che sta oltre la nostra consapevolezza, ed è diverso da tutto ciò che conosciamo”. Nelle pagine di Vermont si riscoprono modi di comunicare che ormai appartengono alla notte dei tempi, un approccio alla quotidianità che sembra andare al contrario rispetto ai luoghi comuni della cosiddetta normalità (“La vita moderna, basata sulla statistica, premia l'abilità di saper scegliere, tra tre o quattro risposte alternative, quella considerata giusta. La vera intelligenza, invece, l'intelligenza che si avvicina alla saggezza, consiste nell'abilità di formulare la domanda”), persino legami con la natura, le stagioni, il clima che sembravano dispersi dai tempi di Walden di Thoreau. Ci sono motivi sufficienti a farne un piccolo, intenso manuale di sopravvivenza al logorio della vita moderna, ma Vermont è qualcosa di più: come scrive il suo stesso autore, è “Qualcosa in più da sottrarre all'industria. Qualcosa in meno da desiderare”. Il Vermont di David Mamet non è l'ennesima America perduta e, anzi, è anche un posto ideale per osservare con un certo disincanto l'insipienza dei politici e delle loro corti: “Noi americani proviamo piacere nell'ingannare noi stessi. Sembriamo, infatti, insistere su questa linea nella politica estera e in quella fiscale, nei codici stradali, nell'istruzione, nella politica, facendo ripetutamente confusione tra pubblicità e promesse”. Quanto siamo vicini.


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