Sullo sfondo di una New York conturbante, Sidney Orr, scrittore che torna alla vita dopo una malattia improvvisa e devastante, è una sorta di guida nei gironi che via via bisogna affrontare. È un percorso con molti ostacoli che lo stile raffinato di Paul Auster non nasconde e nemmeno tenta di mitigare: La notte dell’oracolo ha una costruzione complessa e la proliferazione delle storie, incastrate una dentro l’altra, comincia subito a infittirsi e a farsi labirintica almeno quanto la città in cui si svolgono. Dentro questa architettura, Sidney Orr si muove un po’ come un rabdomante anche se non è chiaro cosa sta cercando e dove lo stanno portando le sue personalissime passeggiate e la nuova dimensione acquisita dopo aver rischiato la vita. È tutto un florilegio di sottintesi da racconti, sceneggiature, romanzi, adattamenti e di citazioni di Dashiell Hammett che punteggiano le sue giornate. Dal punto di vista letterario La notte dell’oracolo è come un viaggio in metropolitana, ogni fermata conduce in un luogo diverso della stessa città: le scritture sono tante e c’è qualcosa di incompleto che si ripete. Il racconto che Sidney Orr scrive sul nuovo taccuino portoghese comprato in uno strano negozio non ha fine e s’incastra in un vicolo cieco. Il romanzo che è all’origine di tutto resta un’incognita. L’adattamento proposto per La macchina del tempo di H. G. Wells si perde nei meandri di Hollywood mentre la proposta dell’amico John Strause, a sua volta scrittore ormai impossibilitato a muoversi, di rivedere un’opera giovanile chiamata L’impero delle ossa finisce sparsa sul pavimento della metropolitana. Come se non bastasse, Sidney Orr si imbatte nell’ennesimo romanzo che narra di un altro romanzo e così La notte dell’oracolo diventa una serie di scatole cinesi che si compensano, senza però trovare un’armonia complessiva o una collocazione definitiva. Non c’è una singola parte che riesca ad arrivare a una destinazione e, nell’insieme, nemmeno lo stesso romanzo di Paul Auster. Le trame si attorcigliano una dentro l’altra e se New York resta il luogo ideale per ospitarle, rimane il fatto che arrivano tutte in un cul de sac. Anche la vicenda principale, quella che si svolge attorno a Sidney, Grace (la moglie) e John Strause e che si conclude nel gran finale, è talmente ingolfata di digressioni, sottintesi e paralleli (per non parlare delle fittissime note a piè di pagina che sono un’ulteriore divagazione) che pare sfuggire di proposito all’obiettivo. Come se non bastasse, La notte dell’oracolo ospita anche l’enigmatica figura di Chang, che si presenta nei momenti più sorprendenti, dove le alterazioni nella vita di Sidney Orr raggiungono livelli onirici, se non proprio magici. I limiti stanno in una rappresentazione autoreferenziale che è particolareggiata e fluida, ma che in definitiva sembra non scegliere mai una direzione precisa, forse in ossequio al fatto che “il mondo è governato dal caso”, e non è che si può fare diversamente. Certo, la celebrazione del potere della scrittura e delle storie, a cui vengono attribuite persino facoltà divinatorie e premonitrici, gli echi di Calvino, Borges e Kafka si sentono e sono evidenti nel condensare il valore delle parole che “sono reali”, così come “tutto quello che è umano è reale, e a volte conosciamo le cose prima che succedano anche se non ne siamo consapevoli. Viviamo nel presente, ma il futuro è dentro di noi in ogni momento”. La parole non scorrono invano, i personaggi appaiono, fanno la loro parte (il più delle volte, parecchi danni) e scompaiono nel nulla, Sidney Orr soffre segreti, bugie e rivelazioni e Paul Auster non si discute, ma La notte dell’oracolo rimane criptico ed eccessivo, come una mappa di New York consumata dall’uso e dove ormai la geografia bisogna immaginarsela.
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