La definizione di un
canone presuppone un vincolo e per Harold Bloom coincide con quella
che chiama la “differenza americana”. Comincia quindi con
l’identificazione di limiti e confini indefinibili perché “gli
Stati Uniti, considerati come un esito finale della cultura
occidentale, non sono mai stati un vuoto da riempire”. Le urgenze
dichiarate partono dal “bisogno di guarire dalla violenza, a
prescindere che venga dall’esterno o dall’interno” all’essenza
di una libertà sfuggente perché “non ci sono fondamenta da dover
accrescere”, necessità che si riversano nella “quadruplice
metafora americana della notte, della morte, della madre e del mare,
che per noi è diventata imperitura”. I contrasti non finiscono
qui. Nella suddivisione dei suoi prescelti, Walt Whitman, Herman
Melville, Ralph Waldo Emerson, Emily Dickinson, Nathaniel Hawthorne e
Henry James, Mark Twain e Robert Frost, Wallace Stevens e T. S.
Eliot, William Faulkner e Hart Crane, l’istinto critico di Harold
Bloom è impegnato nella contrapposizione, piuttosto che nella
ricerca di similitudini, scrutando persino nelle vite private, in
cerca di qualcosa in più dell’eccellenza estetica e formale, a
caccia del “demone” e soprattutto di quella “sensazione di
qualcosa di pervasivo che trasfigura un momento, un paesaggio,
un’azione o un’espressione naturale”. E’ chiaro che in questo
senso Il canone americano tende a rispondere a requisiti
universali, che Harold Bloom precisa così: “Un’individualità
che aspira senza fine alla libertà dal passato è destinata a
resistere alle effettive sovradeterminazioni che ci legano tutti nel
tempo. Finalmente veniamo affidati a una riva terrestre e cerchiamo
iscrizioni commemorative, frammenti ammucchiati contro le nostre
rovine: un intervallo e poi scompariamo. La letteratura alta si
sforza di allungare questo periodo: intorno a questi dodici autori
ruota, secondo me, la proliferazione della coscienza grazie alla
quale continuiamo a vivere e a scoprire il senso dell’essere”.
Sui dodici preferiti che istituiscono Il canone americano
aleggia costante lo spirito di Shakespeare, insieme disseminando a
tanti piccoli risvolti autobiografici, in gran parte riferiti alla
vitale esperienza dell’insegnamento, che Harold Bloom dissemina
nelle pagine, mentre alterna analisi lineari e trasparenti a
riflessioni più criptiche, che sconfinano nella filosofia, anche se
nel complesso Il canone americano offre un saggio rapporto tra
ricchezza e accessibilità, sempre nell’idea che “dovremmo
condividere una visione in cui la letteratura più alta diventa uno
stile di vita”. E’ un richiamo, esplicito, alla “finzione
suprema” di Wallace Stevens e Il canone americano diventa
allora un modo più ampio per sostenere che “poesie, romanzi,
racconti e drammi contano soltanto se contiamo noi. Ci offrono il
dono di una vita che prosegue, a prescindere dal fatto che inaugurino
oppure no un tempo senza fine”. Nella cernita, Il canone
americano si estende ai miti e ai classici consolidati, ma anche
in questo caso, avverte Harold Bloom, “tuttavia, scegliamo che cosa
citare e come riformularlo. Omero e Platone, Dante e Chaucer,
Shakespeare e Cervantes sono creatori primari. Odisseo e Socrate,
Dante il Pellegrino e Chaucer il Pellegrino, Amleto e Don Chisciotte
danno origine ai significati. Il loro lavoro ispira gli interpreti
primari: Montaigne, Emerson, Nietzsche, Kierkegaard, che definiscono
i limiti e le possibilità per trasmettere i significati e poi
trasmetterli in forma di saggezza. Dove si può trovare la saggezza?
I poeti, nei quali si annida l’imprudenza, confortano e consolano
anche quando non illuminano”. Fedele alla sua natura, Il canone
americano si estende nei richiami all’amicizia con Robert Penn
Warren, ai confronti con Frank Kermode, William James e Walter Pater
a cui è riservato un posto d’onore, in conclusione: “Disponiamo
d’un intervallo, e poi il luogo che è stato nostro non ci conosce
più. Taluni spendono quest’intervallo nel languore, taluni in
ardenti passioni, i più saggi almeno tra i figli di questo mondo,
nell’arte e nel canto. Ché l’unica nostra opportunità sta
nell’ampliare quell’intervallo, nel far entrare il maggior numero
di pulsazioni possibile nel dato tempo. Grandi passioni posso darci
questo accelerato senso della vita, dell’estasi e l’affanno
dell’amore, le varie forme dell’attività entusiastica,
disinteressata o meno, che prendono naturalmente molti di noi.
Assicuratevi solo che si tratta di passione, che effettivamente vi dà
questo frutto d’una coscienza accelerata, moltiplicata. Di tale
saggezza, la passione poetica, il desiderio della bellezza, l’amore
per l’arte, ha il massimo. Poiché l’arte viene a voi
proponendovi francamente di non dare altro che la qualità più
eletta ai vostri momenti mentre passano, e non avendo di mira che
quei momenti”. Una lezione che non finisce mai.
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