E’ dietro la porta della camera
217 dell’Overlook Hotel che si nasconde l’epicentro di Shining. Anche se rimane chiusa. Mascherato dalle
agghiaccianti visioni, che sfruttano il fantastico per svelare l’orrore più
prosaico della realtà, c’è un romanzo sulla magia della percezione,
dell’intuizione, sulla misteriosa capacità di cogliere un’atmosfera. E’ un
equilibrio precario, frammentario ed elettrizzante che è l’anima stessa di Shining. Lo stesso Stanley Kubrick che fosse proprio quello
l’aspetto più “geniale” dell’intuizione di Stephen King, tanto da indurlo
nell’avventura di trasformarlo in un film : “Mentre gli eventi soprannaturali
si verificano si cerca una spiegazione, e sembra che la più plausibile sia che
quelle strane cose che stanno accadendo alla fine saranno spiegate come
prodotti dell’immaginazione di Jack (Torrance). E’ solo dal momento in cui
Grady, il fantasma del precedente
guardiano che aveva assassinato con l’ascia la sua famiglia, permette la
fuga di Jack facendo aprire il catenaccio della dispensa, che la spiegazione
soprannaturale prevale”. L’Overlook Hotel è il capolinea perché la
trasformazione di Jack Torrance comincia molto prima: l’isolamento e la
solitudine contribuiscono soltanto a far esplodere la follia. Lassù, in cima,
Stephen King ci arriva a modo suo, disseminando fin dalle prime battute un
indizio dopo l’altro, tutta una serie di diversivi che poi vanno a comporsi
nell’esplosione finale. Diane
Johnson, la sceneggiatrice del film di Kubrick, sosteneva che questo processo
fosse limitato: “Il libro è stracolmo di cose. E’ il difetto di Stephen King
come scrittore, butta tutto quanto sulla carta. I lettori adorano questo modo
di scrivere ma è una mancanza di rigore”. Aveva capito: vale lo spazio che
lascia Stephen King: c’è qualcosa di irrisolto, qualcosa di sospeso e
l’importanza della trama è lampante in quella “splendida festa di morte” che è Shining
ed è la cifra principale del suo stile
almeno secondo Stanley Kubrick: “Direi che
la forza di Stephen King sta nella capacità di costruire trame; non mi sembra
che gli importi molto della forma. Mi sembra uno scrittore più interessato
all’invenzione di una trama, cosa in cui eccelle”. Dal titolo in poi Shining si
articola come un riflesso infinito in uno specchio, doppio e deforme: Jack
Torrance si rivede nello spettro di Delbert Grady, Danny Torrance è l’estremo
opposto e complementare di Dick Hallorann e Stephen King, eccoci qui, sembra
ritrovarsi nella stessa follia alcolica e schizofrenica di Jack Torrance.
Entrambi scrittori, il personaggio e il suo creatore sono accomunati da un
destino sovrappopolato da fantasmi e c’è soltanto un’uscita d’emergenza, che
l’Overlook Hotel non ha mai avuto. Come diceva Stephen King in On
Writing: “Avevo scritto Shining senza nemmeno accorgermi di aver scritto di me
stesso”. E’ il motivo per cui Shining, pur essendo una sublime e algida ghost story, va ben oltre l’elemento
fantastico: il vero incubo, alla fine, è restare senza parole.
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