Le Vite
difficili indagate
da James Sallis, narratore con una spiccata propensione per la musica
e i profili dei territori americani, e altrettanto efficace biografo
e saggista, sono uno con cui lo scrittore scavalca il tema esplicito,
arrivando a scoprire, in fondo, che “Più di ogni altra cosa,
forse, l’argomento di questo mio libro è stato l’insuccesso. Ma
mi accorgo di aver finito per scrivere anche di come le nostre vite
di lettori, e soprattutto di scrittori, abbiano un’imperfetta
redenzione attraverso la letteratura. E di aver parlato di un genio
tutto americano per l’astuzia, l’eccentricità e la perversità,
per riuscire a portare in fondo le cose a dispetto di noi stessi.
Come specie, come nazione, come individui vediamo le nostre forze
sorgere spesso dalle nostre debolezze”. Una bella definizione e
James Sallis non deve ripassare per presentare con la giusta
temperatura gli identikit di Jim Thompson, David Goodis e Chester
Himes, i tre scrittori che ha scelto per rappresentare “quella
pietra angolare della letteratura americana” che è il romanzo
poliziesco (o noir, o hard boiled o con ogni altra declinazione lo si
voglia identificare). La chiarezza con cui James Sallis delinea
l’esistenza delle tre Vite
difficili gli
permette di convocare attorno a loro uno spettro significativo di
narratori, utile a scoprire “l’anima nera di una nazione”. En
passant, l’elenco comprende James M. Cain, Horace McCoy, Ross
MacDonald, Mickey Spillane, Cornell Woolrich, Dashiel Hammett, con
cui comincia tutto e infine, va da sé, Raymond Chandler. Gli aspetti
biografici si avvinghiano a quelli letterari e James Sallis è molto
abile nell’evidenziare i tratti principali di ciascuno di loro, in
modo breve, coinciso eppure esauriente. Già la scelta dovrebbe
essere indicativa perché, pur con le dovute differenze, Jim
Thompson, David Goodis e Chester Himes hanno scritto, rappresentato
(e vissuto) mondi marginali e violenti, fallimentari e oscuri che
sapevano far diventare, nella definizione dello stesso James Sallis
“oggetti rari e meravigliosi: diamanti di seconda scelta, forse, ma
pur sempre diamanti. Fatti per essere usati, e non ammirati, hanno i
loro grossi difetti. Eppure, messi controluce riflettono le nuove
prospettive di un mondo che credevamo di conoscere. E sanno penetrare
a fondo oltre lo schermo dietro il quale la vita svolge il suo
corso”. La distinzione non è relativa perché Vite
difficili si
apre con un illuminante (ed importante) squarcio sull’ascesa e
sulla caduta dei paperback, quei romanzi “mondi portatili” che
costituirono una parte fondamentale della cultura popolare che, come
scriveva D.H. Lawrence altro non è “se non una caricatura della
storia, capace di mettere in estremo rilievo i sentimenti e il modo
di pensare di una nazione”. Per questo Vite
difficili,
oltre a leggersi come un romanzo e a introdurre tre grandi scrittori,
è anche una testimonianza di rilievo per tutto un immaginario
(rock’n’roll compreso) che prende forma dalle pagine nere di
un’intera nazione.
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