Trent’anni
dopo, Meno di zero è
un bizzarro reperto archeologico, intenso e fluorescente, che parla ancora del
futuro. Il suo è un tempo immobile, un eterno presente, artificiale e ambiguo
come è Los Angeles con i suoi deserti, immaginari o reali che siano. L’elogio
dell’evanescenza di Bret Easton Ellis ha il ritmo feroce di un videoclip perché
si ingozza delle due principali attrazioni cittadine, la finzione continua e
suprema del cinema e la feroce velocità della musica pop. Il senso della
prospettiva permette di seguire e di comprendere con maggiore precisione quegli
indizi musicali che sono determinanti nel formare il ritmo di Meno di zero e nello svelarne i temi fondamentali. A
scanso degli equivoci generati dal titolo, i riferimenti musicali appartengono
ben poco alla caustica ironia di Elvis Costello: fin dall’esordio, Bret Easton
Ellis è sempre stato molto abile nella sottile arte del depistaggio,
disseminando tracce e indicazioni contrastanti. In realtà, la colonna sonora di
Meno di zero
appartiene alla generazione dei genitori ed è da lì che forse bisogna partire.
Quando, all’inizio del romanzo, Clay sale sulla macchina del padre che gli
mette un cassetta di Bob Seger “nell’assurdo tentativo di stabilire una
comunicazione”, è già chiaro l’abisso. Bret Easton Ellis non lo dice, ma le
coordinate temporali suggeriscono che quel nastro sia The Distance e se la frattura è evidente perché Bob
Seger è più vicino agli Eagles che agli X, bisogna ammettere che genitori e
figli vivono tutti nell’atmosfera vacua e decadente di Hotel California. Nel colmo delle reaganomics non ci ci
si chiede da dove provengono i soldi, e non serve chiedersi dove vanno a
finire: Mercedes, Porsche, Ferrari, cocaina, champagne, psichiatri e lifting
(un’associazione da tenere ben presente) in cerca di un’identità che non c’è
perché la promiscuità di Los Angeles è una somma infinita di solitudini e, come
dice Clay alias Bret Easton Ellis “qui si può sparire senza saperlo”. Non a
caso, il simbolo ricorrente, il punto focale su cui si concentrano tutti gli
sguardi, l’elemento che ritorna come un loop elettronico o un artificio della
sceneggiatura di un film, è la piscina. E’ il gadget che definisce la noia,
l’indifferenza, la disperazione, persino il colore e l’atmosfera dominanti in Meno
di zero, svelati poi
dallo stesso Clay quando dice: “Penso alla gente che ha paura di buttarsi, e
alla piscina di notte, con l’acqua luminosa che brilla in giardino”. E’ lì che
il riferimento musicale più intenso diventa la citazione Straight Into
Darkness di Tom Petty
perché tutti i personaggi di Meno di zero stanno andando verso il fondo, buio e senza fine, e Bret
Easton Ellis usa una scrittura arida, cinica e meccanica, per scrivere un
doppelgänger alterato e pop di Mentre morivo di William Faulkner, a sua volta buttato
lì, tra una striscia e l’altra. I coyote scendono affamati dalle colline. John
Doe e Exene Cervenka cantano Los Angeles. Tutti portano occhiali scuri, come Elvis Costello sulla
copertina di Trust.
C’è sempre il rischio di restare abbagliati da una grande sole nero.
La copertina della prima edizione italiana rimane un classico, come il romanzo!
RispondiEliminaSono d'accordo, anche i colori sono perfetti.
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