Se l’omicidio è l’espressione del potere, il terrorismo
diventa la forma definitiva di arte e il complotto ordina tanto il matrimonio
di seimilacinquecento coppie del reverendo Moon quanto il funerale funerale di
massa di Khomeini: nei piani inclinati di Mao II, che portano da New York a
Beirut, “il futuro appartiene alle masse” e il destino è deciso altrove. Nello
spiraglio aperto sulla realtà del mondo moderno, Don DeLillo accetta, prima di
tutto, una sorta di subalternità del narratore nel tracciare ipotetiche
coordinate per comprendere le deviazioni e i fallimenti genere umano: “Anni fa
credevo ancora che fosse possibile per un romanziere alterare la vita interiore
della cultura. Adesso si sono impadroniti di quel territorio i fabbricanti di
bombe e i terroristi. Ormai fanno delle vere e proprie incursioni nella
coscienza umana. Era quanto solevano fare gli scrittori prima che fossimo tutti
incorporati”. Ciò non toglie che possa essere ancora un validissimo e quanto
mai ispirato testimone: Mao II ha visto il futuro con lucida visionarietà, una crepa nel
tempo dalle linee nette, profili precisi e senza una sbavatura, tagliente come
i bordi di un diamante (non a caso Thomas Pynchon ha detto che Mao II è un gioiello). Una percezione
molto avanzata nel tempo e in tutti i sensi che, isolando un tratto in
apparenza confuso e frenetico della storia occidentale, fugge dal tentativo di
vedere una trama complessiva, anche nel romanzo stesso, e collima il mirino con
un orizzonte molto lontano. Mao II è del 1991, nell’empty sky di New York del 2001 sarebbe
stato poco meno di una parabola e all’alba del 2011 è ancora pericolosamente
attuale, soprattutto dove Don De Lillo dice: “In società ridotte allo sperpero
e alla sovrabbondanza, il terrore è l’unica azione significativa. C’è troppo di
tutto, ci sono più cose e messaggi e significati di quanti ne possiamo usare in
diecimila vite. Inerzia e isteria. E’ possibile la storia? C’è qualche persona
seria? Chi dobbiamo prendere sul serio? Solo il credente letale, la persona che
uccide e muore per la fede. Tutto il resto viene assorbito. L’artista viene
assorbito. Il pazzo per strada viene assorbito, trasformato e incorporato. Gli
dai un dollaro, lo metti in uno spot televisivo. Solo il terrorista resta
fuori. La cultura non ha ancora trovato il modo di assimilarlo. E’ sconcertante
quando uccido l’innocente. Ma questo è precisamente il linguaggio per essere
notati, l’unico linguaggio che l’occidente comprenda. E poi il modo che hanno
di determinare l’idea che ci facciamo sul loro conto. Il modo che hanno di
dominare il flusso interminabile delle immagini”. Il ritmo che Don DeLillo
impone alle parole è l’unico in grado di competere con quello che raccontano,
ovvero l’impero dominante delle ultime notizie, il costante trasecolare di fronte
alle novità che appaiono, che deflagrano, che turbano e che s’impongono ed è
vero che “i libri non finiscono mai”, ma bisogna anche dire che Mao II è qualcosa in più di un romanzo,
bellissimo e complesso. E’ un incubo a occhi aperti. La realtà. Una premonizione.
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