lunedì 12 novembre 2012

Maya Angelou

L’infanzia vissuta nel cuore dell’America povera, bianca e nera, osservata da una dimensione particolare: attraverso gli occhi di Marguerite alias Maya e del fratello Bailey prende forma tutto un singolare universo che ha il suo centro di gravità nell’emporio della nonna, chiamata Momma e dello zio Willie. “Se crescere è dolore per una bambina nera del Sud, rendersi conto di essere fuori posto è la ruggine sul rasoio puntato alla gola. E’ un insulto superfluo” scrive Maya Angelou e la metafora rende chiare, senza difetto di sorta, le coordinate in cui si sviluppa Il canto del silenzio. I riferimenti geografici, le implicazioni della storia nei risvolti sudisti, l’evocazione di un blues mai sopito nei secoli sono i sapori amari e pungenti che dissemina Maya Angelou: Marguerite è costretta a crescere presto  in fretta dall’habitat e dagli eventi, compreso uno strupro a otto anni e una gravidanza a sedici anni, e nonostante tutto nella sua voce mantiene salde le posizioni della spontaneità e persino di una palpabile vena ironica. Maya Angelou, con una prosa ricca e invitante, riesce a mantenere una grande equibrio tra la memoria e la consapevolezza del presente, tra l’urgenza di sottolineare la forza dei suoi piccoli personaggi e la necessità di circoscrivere (perché spiegarlo è davvero difficile) le distanze tra loro e il resto del mondo: “Che cosa distingue un paese del Sud da un altro, piuttosto che da una cittadina, un villaggio o una metropoli del Nord? La risposta sta nell’esperienza condivisa dalla maggioranza inconsapevole (il paese) e la minoranza consapevole (tu)”. L’onda latente e/o manifesta del razzismo è una costante, spesso sotterranea, subdola e invisibile che Maya Angelou è straordinaria nel rendere evidente: “Stamps, Arkansas, era Frustalo-Per-Bene, Georgia; Mettigli-Una-Corda-Al-Collo, Alabama; Negro-Sparisci-Prima-Del-Tramonto, Mississippi; o qualsiasi altro nome altrettanto descrittivo. La gente di Stamps diceva che nel nostro paese i bianchi avevano così tanti pregiudizi che un nero non poteva neanche comperare un gelato alla crema. Eccetto il quattro di luglio. Gli altri giorni si dovevano accontentare del cioccolato”. E’ nell’elaborazione del ricordo, nello sforzo della memoria, nella rigenerazione di un tempo lontano che Il canto del silenzio trae la sua forza, senza concedere nulla alla nostalgia o al rimpianto. Ha qualcosa di speciale, e di indefinibile tanto che persino James Baldwin ha fatto fatica a trovare una descrizione coerente: “Il canto del silenzio libera il lettore perché Maya Angelou affronta la sua vita con toccante stupore e luminosa dignità. Non ho parole per quest’opera, ma una cosa è certa: è dai tempi della mia infanzia, quando la gente nei libri era più reale delal gente che si vedeva ogni giorno, che non mi commuovevo tanto”. E Marguerite ci fa partecipe anche di quel “genio” che sarebbe stato al suo servizio per sempre: “i libri”, quelle piccole pietre con cui cerchiamo di mettere insieme un guado in mezzo alla vita. 

2 commenti:

  1. Lo voglio questo libro! :-) sembra che non si trovi proprio più, ma come fai a trovarli tu?! Sempre belle le tue recensioni, una miniera il tuo blog.

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  2. Non sarà facile trovarlo in effetti. L'avevo comprato e letto quando è stato pubblicato, una quindicina d'anni fa, e lo riscoperto di recente, se ti capita, non farti sfuggire l'occasione, è davvero un bellissimo libro (e grazie dei complimenti e dei commenti).

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