Capita che un torpedone
scalcinato s’inchiodi nel bel mezzo del paesaggio californiano con a bordo
tutti i suoi passeggeri. La compagnia forma un quadro picaresco e colorito,
molto rappresentativo di un’umanità variegata. C’è di tutto, sulla corriera
stravagante di John Steinbeck e il casuale
incidente, tutto sommato una solida metafora dell’imprevedibilità e della
casualità vita, sembra scardinare le esistenze, le convenienze e le convenzioni
bloccate on the road, con una sorta di sottile euforia generale, che spesso si
traduce in una marcata sensualità. Non c’è dubbio che il John Steinbeck da
riscoprire in La corriera stravagante non è certo quello biblico di Furore o Uomini e topi, il cantore della famiglia di Tom Joad, dei derelitti e dei disperati,
dei perdenti e dei fuggitivi, degli outsider di un’America lontana e polverosa.
Da un certo punto di vista La corriera stravagante è più vicino all’epica di Pian della
Tortilla o, almeno, alle stesse visioni.
Perché, in fondo, l’incidente, in senso lato, che ferma La corriera
stravagante è anche l’occasione perché i
viaggiatori scoprano e diano un nuovo senso alla propria vita, vedendo “davanti
alla corriera, la strada cantava la sua canzone”, un inedito orizzonte di
libertà. A partire dal buon autista, che nelle prime pagine del romanzo si
confessa così: “Certe volte sono proprio stufo di guidare quell’accidente di
corriera avanti e indietro, avanti e indietro. Certe volte mi viene la voglia
di piantare tutto e prendere la strada delle colline. Ho letto di un tale, un
capitano di vaporetto a New York, che un bel giorno, senza tante storie, se ne
andò per mare e nessuno ne ha saputo più nulla. O è affogato, o ha trovato da
sistemarsi in qualche isola. Io lo capisco, un tipo così”. Prendere e partire è
un tema che, come è noto, sarà ripreso in continuazione e all’infinito nella
narrativa e anche nel rock’n’roll, a partire da Chuck Berry fino ad oggi, con o
senza le valenze sociali che John Steinbeck gli ha sempre attribuito. Eppure
c’è qualcosa, nel paesaggio attraversato dalla corriera stravagante, che comincia a sgretolarsi sulla superficie della
strada, e non solo in senso metaforico: “Una scarpata franava, una buca si
apriva, una fessura si formava, che un po’ di ghiaccio nell’inverno allargava:
ed ecco che il cemento, incapace di resistere all’azione delle gome, cedeva”.
Anche La corriera stravagante,
nel suo eccentrico viaggio, non perde di vista la concreta, solida visione di
John Steinbeck: anche nel baillame dell’allegra comitiva persa nel deserto
affiora quella capacità di evidenziare da distanza ravvicinata le piccole e
grandi variazioni cromatiche dell’animo umano. Per questo per La
corriera stravagante con ogni probabilità
valgono ancora le parole con cui nel 1954 John Steinbeck dedicava La
valle dell’Eden ad un amico italiano: “Ci
sono dolore ed eccitazione, sentimenti buoni o cattivi e pensieri cattivi e
pensieri buoni, il piacere di disegnare e un po’ di disperazione e
l’indescrivibile gioia della creazione”.
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