“Rottami. Qualche osso. Le parole dei morti.
Com’è possibile costruire un mondo da tutto questo?” è la domanda che arriva
quando il viaggio Oltre il confine sta ormai sfumando. Billy e Boyd Parham lo
stanno attraversando per riportare una lupa tra le rocce messicane. Il padre
dei due fratelli la vorrebbe vedere morta, come il bestiame che ha
cacciato: cambiando il destino
dell’animale, Billy e Boyd oltre a sfidare l’aspro paesaggio della frontiera,
s’inerpicano lungo crinali inesplorati della vita cita perché, come scrive
Cormac McCarthy “Le conseguenze di un atto sono spesso molto diverse da quanto
si potrebbe immaginare. Devi essere certo che le intenzioni che hai nel cuore
siano abbastanza ampie da far posto anche agli sviluppi negativi, alle
delusioni. Capisci? Non tutto vale così tanto”. Il centro della Border
Trilogy
è il romanzo più lirico, per non dire poetico, di Cormac McCarthy. La
connessione tra l’elemento naturale, le meravigliose descrizioni delle rocce,
del vento, del deserto e degli animali, e poi la minuziosa attenzione alle
intangibili forme del mondo umano, quel mondo “fatto solo di respiro” rendono
il percorso dei fratelli Parham qualcosa in più di un’iniziazione, di una
scoperta, di un’avventura verso l’incognito. Tra gli aridi sentieri di Oltre
il confine
spunta una rara, intensa sensibilità nel comprendere che “non vi sono viaggi
isolati perché non vi sono viandanti isolati. Tutti gli uomini sono uno e non
vi è un’altra storia da raccontare”. Questa è la vera linea attraversata, la
meta che lo stesso Cormac McCarthy intravede Oltre il confine: “Se la gente
conoscesse la storia della propria vita, quanti sceglierebbero di viverla? La
gente si preoccupa del futuro. Ma non c’è futuro. Ogni giorno è fatto dei
giorni che l’hanno preceduto. Anche il mondo deve essere sorpreso per come ogni
giorno si mettono le cose”. E’ la forza del racconto che definisce il tempo,
l’esistenza stessa che è “tutto è racconto” ed è la risposta con cui Cormac
McCarthy definisce l’esigenza, primaria e irrinunciabile della narrazione:
“Perché questo mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue
non è affatto una cosa ma è semplicemente una storia. E tutto ciò che esso
contiene è una storia e ciascuna storia è la somma di tutte le storie minori,
eppure queste sono la medesima storia e contengono in esse tutto il resto.
Quindi tutto è necessario. Ogni minimo particolare. E’ questa in fondo la
lezione. Non si può fare a meno di nulla. Nulla può venire disprezzato. Perché,
vedi, non sappiamo dove stanno i fili. I collegamenti. Il modo in cui è fatto
il mondo. Non abbiamo modo di sapere quali sono le cose di cui si può fare a
meno. Ciò che può venire omesso. Non abbiamo modo di sapere che cosa può stare
in piedi e che può cadere. E qui fili che ci sono ignoti fanno naturalmente
parte anch’essi della storia e la storia non ha dimora né luogo d’essere se non
nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi possiamo mai aver finito di
raccontare. Non c’è mai fine al raccontare”. Straordinario.
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