Diario di uno scrittore affamato è “dove comincia la strada” di Jack Kerouac: un insieme caotico di racconti, articoli, liriche, saggi e romanzi ancora in embrione destinato a esplodere. Provenienti dalle fonti più disparate, queste pagine risalgono a un periodo compreso tra il 1936 e il 1944, un Jack Kerouac poco più che adolescente eppure già convinto di poter affrontare il mondo. A questo stadio la sua scrittura è ancora una cambiale in bianco, tanto che lui stesso ammette, in modo molto candido & innocente di riconoscersi in “Jack Kerouac, poeta americano per caso, di nessuna fama, ma dotato di una assoluta fiducia interiore in se stesso, da sbalordire Saroyan”. Nel gran varietà del Diario di uno scrittore affamato si percepisce però l’intenzione di “ritrarre la vita con precisione”, un’utopia in fondo, visto che la vita è tutto meno che precisa, eppure Jack Kerouac, per quanto giovanissimo, sa già raccontare in modo coinvolgente e trascinante. La recensione dedicata all’orchestra di Count Basie, tanto acerba quanto entusiasta annuncia ben altre complicità con i jazzisti, qualcosa che al momento è ancora legato a una dimensione impercettibile, quasi onirica. Anche se la comprensione e la traduzione seguiranno negli anni, Jack Kerouac riesce a sentire tutto quel fascino e a trasmetterlo con New York Nite Club: “Fuori, per strada, la musica che giunge improvvisa dal locale notturno ti riempie del desiderio di qualche intangibile gioia, che senti e potrai trovare solo entro quei confini fumosi”. In una frase di quattro righe c’è tutto il fascino di quell’atmosfera e non è soltanto perché “l’America autentica, quella vera, è l’America di notte”. Come per i jazzisti, o i musicisti tout court, conta di più il coraggio di buttare fuori, di lasciarsi andare, di entrare nella corrente e di trovare un ritmo, che poi è tutto il tempo e di non mollarlo più. Se c’è qualcosa di chiaro e indiscutibile nel caos di un Diario di uno scrittore affamato è questa visione perché il poeta (e vale anche per lo scrittore in generale) “è un tipo che trascorre il suo tempo pensando a cosa c’è che non va, e sebbene sappia che mai troverà la risposta, va avanti a pensarci e a scriverci sopra. Il poeta è un cieco ottimista. Il mondo gli è contro per molte ragioni. Ma il poeta persiste. Egli crede di essere sulla buona strada, non importa gli altri cosa dicono. Nella sua eterna ricerca della verità, il poeta è solo. Egli cerca di essere fuori dal tempo in una società costruita sul tempo”. Questo è proprio quello che insegue Jack Kerouac in quegli anni frenetici, selvaggi e innocenti e intanto confessa su una pagina del Diario di uno scrittore affamato: “Le faccende del mondo vanno avanti e avanti e un po’ si risolvono e un po’ no; ma il mondo, quello sì che preoccupa. E’ l’unica cosa che noi uomini abbiamo. E non possiamo dire di averlo se una volta ogni tanto non ci prendiamo una pausa per tirarci un sigaro in un posticino come questo”. Quel momento che sarà la sua strada, la sua voce e la sua vita.
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