Frammento dopo frammento, perché “ogni scena è in tutti i tempi e tutti i tempi sono in ogni scena”, Zeroville delinea un’ossessione che è la storia, la trama, il romanzo stesso. E’ una lunga dissolvenza in cui le peripezie di Vikar (“con la k”) l’unico a Hollywood a vivere il cinema così come lo conosce sono altrettanti fotogrammi snocciolati da Steve Erickson. Vikar alias Ike Jerome, come se fosse un attore che interpreta se stesso, porta tatuati sulla fronte Elizabeth Taylor e Montgomery Clift e si esprime attraverso il linguaggio e il tempo che nel cinema “è circolare” e, come ha detto Steve Erickson, “modella la sua visione del mondo”. Vikar conosce i segreti di tutti i film, diventa un montatore chiamato a risolvere produzioni barcollanti, viene coinvolto dai ribelli spagnoli durante il lungo crepuscolo di Franco, arriva spaesato al festival di Cannes. Anche se Vikar si ritrova spesso dove non dovrebbe essere (a New York come su un qualsiasi aereo di linea) il suo epicentro, anche per motivi geologici, è a Los Angeles. Da una parte perché “tutti i film di Los Angeles sono lo stesso film” e dall’altra perché “la cosa di cui parlano tutti in questa città è la musica” e Zeroville è delimitato dai Doors fino agli X secondo una scansione temporale ben precisa. Vikar non vive la musica con la stessa maniacale inclinazione che prova per il cinema: ha un debole per Iggy Pop di cui cita I Wanna Be Your Dog e The Passenger e insegue Don’t Look Back di Bob Dylan senza andare oltre. E’ Zazi, una ragazza imprevedibile che suona il basso (e per via di alcuni dettagli viene il dubbio che il personaggio non sia stato ispirato a Steve Erickson da Kendra Smith, la prima bassista dei Dream Syndicate) a muoversi tra i club in una stagione in cui convivevano Germs, Devo e Blasters. E’ un personaggio particolare per Zeroville perché è lei a tenere un labile contatto con Vikar. Sempre più convinto che esista un film nascosto, fotogramma per fotogramma, dentro agli altri film: è quella ricerca che lo porta a vivere il cinema come la rappresentazione di un linguaggio che scorre nelle sue citazioni. Da quella esplicita di Ladri di biciclette a quelle mascherate (da Taxi Driver a Apocalypse Now a Blade Runner è una storia parallela del cinema americano e non perché “questa è la raffinatissima crudeltà del cinema, mettere a confronto gli esseri umani con certe verità su se stessi, con le quali poi devono convivere”. Il capolavoro di Steve Erickson è quello di riportare il cinema, e insieme la scrittura, a uno stadio onirico ed enigmatico. Il tatuaggio di Vikar, lì dove comincia tutto, diventa una mappa più che un simbolo: “le scene hanno dei profili, come le persone e le cose. Tutte le storie stanno nel tempo e tutto il tempo è nelle storie” è l’unica formula che governa il caos di Zeroville. Steve Erickson la applica a modo suo, viaggiando nel tempo e nello spazio, badando soltanto al tono (“magistrale” come ha detto Paul Auster) e “affanculo la continuità”. Un romanzo subliminale.
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