domenica 29 giugno 2025

Louise Glück

Ararat è un montagna piuttosto ripida da scalare. Soprattutto nelle parti iniziali è difficile intravedere un quadro complessivo, o un senso, nel caso fosse necessario. Spesso Louise Glück, con il suo stile scarno ed essenziale, è lapidaria, senza possibilità di appello. La considerazione in Parlante inaffidabile è quasi un avviso ai naviganti: “Quanto a me, mi sento invisibile: perciò sono pericolosa. Gente come me, che sembra generosa, è menomata, è bugiarda; siamo quelli da rispedire al mittente per amore della verità”. Sono flash che lasciando interdetti, se non proprio confusi. Le scene domestiche e i legami famigliari sono tutti vagliati e limati con una lingua semplice, naturale. Louise Glück è diretta, uno dopo l’altro i versi vanno a comporre un’infinita didascalia che annoda la sottile, impercettibile trama di istantanee da cui filtra il reiterato tentativo di comprendere la natura delle cose. Protagonisti sono i rapporti con la madre, con la sorella, con nipoti e cugini, e con la dimensione sfuggente del padre. I parenti ruotano attorno in continuazione e senza sosta mentre la cornice casalinga è vista con la prospettiva di un microscopio, ma anche con la grazia necessaria per cogliere i dettagli importanti come accade puntualmente in Nuovo mondo: “Come il palloncino di un bimbo che vola via nell’attimo in cui non lo tiene stretto” e si resta “senza rapporto con la terra”.  Con il suo peso specifico, l’infanzia, ricostruita dalle minuzie ricamate nel tempo, pur essendo una materia instabile, fugace ed elementare resta l’espressione di qualcosa simile a un rimpianto per non aver potuto “scegliere le persone da amare” come recita un significativo verso di Cerchio marrone. I ricordi si creano e si ricreano  e Ararat è un territorio di dolore ma anche di ascesa e di salvezza. Il contrasto è indispensabile ed è compreso nella cadenza molto regolare del ritmo di Louise Glück perché, come scrive in Musica celestiale “l’amore per la forma è un amore per i finali”. Ecco che, con una progressione sensibile, ma inequivocabile, prende corpo una sorta di discorso con alcune linee precise che provano a definire i confini dell’anima. Non ci sono proclami, e pur mettendo in conto il titolo, neanche rivelazioni bibliche. Louise Glück riesce far intravedere quel tema infinito e ingombrante da una posizione privilegiata, illuminandosi con quattro righe di pura ispirazione. Scrive con Il bambino piange: “L’anima è silenziosa. Se mai parla, parla nei sogni”. Si tratta di un’essenza che muta, si trasforma ed è indipendente, proprio come la poesia. A parte la meraviglia, a noi resta solo “esistere nel presente”, suggerimento che arriva da una poesia il cui titolo, Lamento, ne è già l’espressione più completa possibile e immaginabile. Tra le raccolte di Louise Glück, Ararat è forse la più personale e intima, per tutte le sue connessioni con la famiglia vista come un nucleo instabile e vitale. Il livello di introspezione implica anche una certa asprezza perché Louise Glück non fa sconti a se stessa, figurarsi al lettore, e questo finché il silenzio viene assunto come “il segno che forse il debito è stato finalmente pagato” e la conservazione della specie può continuare ad aggrapparsi alle parole, come se non ci fosse molto altro lassù in cima.

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