“La bellezza è solo per i coraggiosi” scrive Saul Bellow e per inoltrarsi in Ne muoiono più di crepacuore bisogna mettere in conto una prova e insieme un’esperienza dovuta al fatto “che l’essere umano non riesce a chiudere intorno a sé l’indumento che ha scelto. Forse l’artista non riesce ad abbottonarsi bene per via degli obblighi che ha verso il suo prossimo”. Il protagonista, lo zio Benn è a suo modo un eccentrico e un outsider, per quanto apprezzato e appassionato botanico, nonché libero pensatore. Le conversazioni tra Benn e il nipote Kenneth sono l’occasione per trasformare la storia in un delirio (molto) teatrale: l’intricato ménage genera un flusso incontrollabile, dove il linguaggio si riversa in mille rivoli. Il ritmo della scrittura non perde una battuta nemmeno per sbaglio: è un fluire costante, un florilegio di argomentazioni e di divagazioni senza sosta, come se ci fosse una corrente alternativa che comprende Billie Holiday ed Edgar Allan Poe, Psycho e che tende a “creare una coscienza”, primo e importante passaggio evolutivo di cui tenere conto. Diceva Saul Bellow del suo eroe per caso: “Lo zio è una persona vera. Non devia mai dalla sua natura originaria” e, conseguenza diretta e immediata, “desiderava era di vivere tranquillo, due esseri legati l’uno all’altro dall’amore e dalla tenerezza: è questa una meta universale”. L’incontro, e poi il matrimonio, con Matilda solleva un vespaio incredibile laddove “se ne conclude insomma che uomini e donne sono decisi a ottenere (o a strappare) gli uni dagli altri ciò che non si può ottenere in nessun modo”. La liaison è particolarmente tormentata: se è vero che “l’amore è uno di quei poteri dell’anima non soggetto a coscrizione. Crea la bellezza, crea la forza: certe volte per scopi speciali, quando è veramente ispirato, crea addirittura dei nuovi organi. Senza l’amore, la coscienza critica riduce il prossimo nelle sue parti costituenti, lo disintegra”, è altrettanto necessario notare che “Benn era un artista delle piante che non era qualificato per diventare un artista dell’amore”. Gli intrighi che avvolgono Matilda e la famiglia spostano l’attenzione verso l’economia e la politica americane, dove “la maggior parte delle persone sono costruite, per lo più da loro stesse” e qui il tono della commedia e il sarcasmo pungente riescono a evidenziare molto bene certi processi: “Visti così, nero su bianco, i fatti erano terribili. Nessuno dava la minima importanza allo zio quando rimaneva un innocuo eccentrico con il pallino della morfologia, non più preoccupante di uno che vada in giro a registrare versi d’uccelli, ma non appena fa una mossa per salire a un livello sociale più significativo, ecco che attira l’attenzione di gente il cui interesse sarebbe meglio non risvegliare”. Funziona così e la sfida è vivere “nel mezzo di un grande frastuono politico” con un minimo di lucidità che di sicuro a Saul Bellow non è mancata: “Anche gli USA, questa enorme impresa post-storica che regge i nostri destini, perdeva di slancio, s’afflosciava, si faceva molle. A questo punto affiorò dentro di me l’orribile sospetto che il prezzo del dinamismo degli USA fosse più alto di quanto non avessi calcolato”. L’identità non è solo una questione nazionale (“Che altro è infatti la vita in una moderna democrazia, se non la ricerca di un modello da interpretare? Nessuno dice: voglio essere me stesso. Tutti dicono: vediamo chi scegliere di essere”) e Ne muoiono più di crepacuore è un libro scomodo, enorme, per come si sviluppa, per come circonda il lettore e scava nelle interazioni personali e politiche senza falsi pudori. Un romanzo tortuoso e provocatorio, inesauribile e pirotecnico, e spesso e volentieri disorientante, ma che apre uno squarcio sul mondo moderno, come pochi altri sono riusciti a fare, quando Saul Bellow sentenzia: “Il segreto nel nostro essere chiede ancora di venire svelato. Solo adesso capiamo che arrovellarsi per risolverlo e rigirarlo su tutte le parti non serve a nulla. Il primo passo è di fermare queste oscillazioni della coscienza che mi tengono sveglio. Solo, prima di ordinare alle oscillazioni di fermarsi, prima di pagare il conto e di andarsene, bisogna porsi in una posizione tale per cui i sussidi metafisici possano avvicinarci”. Se da una parte il sistema si autotutela e muta come un virus per salvaguardarsi (“Tutti i regimi sono più o meno fatti così. Grandi inquisitori che proteggono la fragile moltitudine”), dall’altra viene in soccorso la fantasia “proprio perché il mondo comune, il mondo cosiddetto normale, ci spinge in quella direzione con le maree irrazionali che vi penetrano”. Oggi più attuale che mai.
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