Il senso delle proporzioni e il gusto della prospettiva dell’architettura di Frank Lloyd Wright non hanno trovato altrettante corrispondenze nella sua storia sentimentale e famigliare. Rileggerne la figura attraverso Le donne è un processo molto interessante che permette a T. C. Boyle di allargare la visuale e nello stesso tempo di sfoderare un ritmo con una cadenza jazzistica che non concede un attimo di tregua. La teatralità dei personaggi, proprio a partire dalle tre mogli (Kitty, Miriam, Olgivanna) e senza dimenticare la relazione con Mamah, garantisce carburante a sufficienza, anche se in sostanza lo schema un po’ si ripete: l’amante e/o la consorte di turno entra nella vita di Frank Lloyd Wright e la mette a soqquadro e da lì T. C. Boyle, prendendosi tutte le licenze necessarie catalizza l’attenzione. La prosa, ricca, avvincente e perfettamente mirata, comprende i continui eccessi, gli alti e i bassi, i colpi di testa, tutti gli aspetti emotivi che, non di rado, in mezzo ai drammi matrimoniali, diventano comici e surreali. Le esagerazioni della narrazione di T. C. Boyle corrispondono alla complessità della figura di “Frank Lloyd Wright, il grand’uomo, incantatore di stranieri, seduttore di donne, dio del proprio universo”, volitivo e pantagruelico, eppure “sempre sull’orlo del disastro, economico e professionale”. Un’esistenza costellata da trasferte (memorabile quella in Giappone) coincidenze, casi e destini, turbolenze e risse, che trova nel feudo di Taliesin nel Wisconsin il luogo d’elezione dove, a seconda del momento specifico, prendono forma l’ordine e/o il caos. Sato Tadashi, il protagonista e narratore che ci guida tra Le donne, uno dei tanti apprendisti che hanno condiviso gli spazi e il volubile clima attorno a Frank Lloyd Wright lo illustra così: “Quella era casa mia, la mia casa ideale, se il mondo fosse stato un posto migliore e a governarlo fosse stata l’estetica invece che la necessità. E la crudeltà”. È proprio da lì che T. C. Boyle fa partire il viaggio a ritroso nel tempo e il senso inverso della ricostruzione implica non poche sorprese, a partire dalle repentine apparizioni di Miriam. È inevitabile segnalarla come il personaggio più appariscente tra tutte Le donne di Frank Lloyd Wright. Lei, “un’arpia ingioiellata e con turbante, gli artigli di fuori e le mascelle spalancate in un disumano grido oltraggiato, non cerchiamo e non avremo pietà” è quella che più di tutti sconvolge i piani di Frank Lloyd Wright e si ribella al suo volerla soltanto come “qualcosa di decorativo”. La sua figura coinvolge T. C. Boyle nel renderla così appariscente, compreso il burrascoso e interminabile divorzio che completa il ciclo di matrimoni e separazioni. Il meccanismo a orologeria è ben congegnato con un finale perfetto (che potrebbe essere benissimo l’inizio): Le donne è un lavoro coraggioso che immagina e rielabora i tempi Frank Lloyd Wright anche se, alla fine, “la questione, la questione dell’amore, rimase senza risposta, allora e in seguito”, e su questo non c’è ombra di dubbio.
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