La vita avventurosa e caotica di Stephen Crane è una storia a parte, le opere sono scandagliate una per una, ma nonostante le dimensioni e la disposizione di Paul Auster, Ragazzo in fiamme non è un’agiografia, perché vengono messe in risalto deviazioni, contorsioni e contraddizioni, e nessuno dei due fa sconti. L’America è il punto di partenza e Crane dice che “in un paese dove si spara, nessun uomo vi dirà mai esattamente cosa ha fatto. Vi dirà cosa gli sarebbe piaciuto fare o cosa si aspettava di fare, proprio come se ci fosse riuscito”. È la sua biografia in quattro righe e Paul Auster aggiunge che “l’America non è altro che un miscuglio di ambiti multipli, contrastanti, l’epicentro globale di incroci improbabili e splendide conseguenze”. Da lì, l’interpretazione di Stephen Crane inizia dall’infanzia, quando è ancora Stevie e, come scrive Paul Auster, se “pure Crane non imparò nient’altro dai genitori, il loro esempio gli insegnò che il mondo era un posto in cui gli adulti responsabili si sedevano a un tavolo e scrivevano, che la scrittura era un’attività umana importante se non fondamentale”. L’alternanza tra la ricostruzione della breve e drammatica esistenza ad ampie riletture dei suoi lavori fornisce la solida struttura di Ragazzo in fiamma, con Maggie e Il segno rosso del coraggio come cardini inamovibili. L’importanza di Maggie, che nasce dalla frequentazione dei bassifondi di New York è presto detta: “Con Maggie fece il primo passo verso la scoperta della sua missione di scrittore. Da allora in poi tutte le sue opere di narrativa più importanti si sarebbero imperniate su situazioni estreme, su questioni di vita o di morte: la guerra, la povertà e il pericolo fisico”. Se la scrittura di Stephen Crane è cinematografica ante litteram, altrettanto rilevante è la sua personale teoria dei colori, a partire da Il segno rosso del coraggio, e la vocazione dichiarata di un intero stile: “Voglio essere sempre inequivocabile. In questo per me consiste il bello scrivere. La letteratura comporta parecchia fatica. Credo sia la sua difficoltà più grande. Non c’è nulla da rispettare nell’arte, se non l’opinione che se ne ha”. Per seguirlo, Paul Auster usa il tono e il ritmo del narratore e gli spunti da romanzare non mancano: irrequieto, tormentato e talentuoso in parti uguali, Stephen Crane spicca dalle pagine di Ragazzo in fiamme per quello che è. A volte il tono si fa colloquiale e via via prendono forma lo scontro con il dipartimento di polizia di New York (e la corruzione), il naufragio nell’Atlantico, l’incontro con Cora, un personaggio altrettanto travagliato, fino alla confessione di Crane che in una corrispondenza dirà: “Sono condannato, credo, a un’esistenza solitaria di futili sogni. Questo mi ha reso migliore, ha allargato la mia comprensione nei confronti delle persone e la mia solidarietà per quello che sopportano”. Lo si vedrà in particolare nell’esilio inglese, gli Stati Uniti ormai alle spalle, circondato da Joseph Conrad, Ford Madox Ford, H. G. Wells ed Henry James che definì una “brutale estinzione” la prematura fine di Stephen Crane. Nelle ampie parti dedicate ai racconti e ai romanzi e è chiara l’intenzione di rivalutarne il lascito, quella capacità di indagare e centellinare “il prodigio della tragedia umana” e di ricordare che “ogni peccato è frutto di collaborazione”. L’esegesi della narrativa del Ragazzo in fiamme è elaborata e insistente: con l’obiettivo dichiarato di scoprire e mostrare “l’effetto che fa”, Paul Auster riesce a determinare con precisione il valore ultimo di Stephen Crane: “Ciò che gli interessa è guardare da lontano qualcosa che fa la spola tra il leggibile e l’illeggibile, sulla linea che separa la forma coerente da una macchia indistinta, e quella linea, quella zona indeterminata, dove soggettivo e oggettivo si mescolano, è l’esiguo territorio su cui si svolge gran parte delle sue opere, e siccome è un territorio che nessuno ha mai esplorato fino in fondo, Crane rappresenta lo scopritore di un nuovo spazio”. Succede tutto all’interno di un passaggio storico della cultura americana, dagli interventi militari a Cuba e Puerto Rico alla riesumazione della salma di Cristoforo Colombo, una fin de siècle a cui Paul Auster dedica una scrupolosa attenzione. Molto più di una biografia, visto l’imponente apparato critico: un omaggio raro e speciale da scrittore a scrittore, senza nascondere nulla (eccessi, disastri, fallimenti, diatribe, malattie, sperperi) con uno splendido viatico per la letteratura, quanto mai necessario in questi tempi inafferrabili, quando Paul Auster cerca di immaginarsi e descrivere “una reazione pura e diretta a ciò che ci troviamo davanti sulla pagina, alle parole in sé, ai pensieri e alle immagini che tali parole suscitano in noi mentre passiamo da una frase all’altra”. L’eccesso di zelo (stiamo parlando di oltre mille pagine) è compreso nel prezzo.
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