Il leitmotiv dei saggi raccolti in Tutto ciò che è libero e selvaggio ruota attorno all’arte e all’etica della conservazione ambientale intesa come “un rapporto armonioso tra uomo e terra. Siamo in presenza di conservazione ambientale quando la terra dà buoni frutti e il proprietario terriero se ne prende cura, quando entrambi prolificano in virtù di questa cooperazione. Se, invece, una delle due parti si impoverisce, la conservazione viene meno”. Come è nel suo stile, Aldo Leopold suggerisce alcuni esempi, dalla perdita degli stagni nelle fattorie alla ridenominazione delle catene alimentari in “flussi biotici”, alternando esperienze personali a valutazioni e approfondimenti più specifici, fino a definire “la successione ecologica” come “l’evoluzione di un ecosistema, dovuta all’avvicendamento nella stessa area di diverse comunità in relazione alla modificazione dell’ambiente fisico, causata a sua volta dall’azione degli organismi. Il processo di successione tende al raggiungimento di un ecosistema stabile, o climax, dove sia massima l’omeostasi, cioè la capacità del sistema di assorbire le perturbazioni esterne (naturali o indotte dall’uomo) mantenendo integra la propria struttura”. La relazione tra esseri umani e natura dipende proprio dall’aderenza a un’idea di conservazione che significa “favorire il corretto funzionamento delle proprie risorse ed evitarne l’abuso, poiché esse potrebbero deteriorarsi ancora prima d’esaurirsi, e talvolta quando ancora sono presenti in abbondanza”. Altrove Aldo Leopold la chiama anche “un utile e positivo esercizio di abilità e intuizione anziché una pratica, negativa, di astinenza e cautela”. Questo dipende dal fatto, come ha modo di ripetere tra un saggio e l’altro, che “la terra è un unico, grande organismo” e “il mondo brulica di animali, processi ed eventi che cercano di sfuggirci”. Qui s’inseriscono componenti che hanno aspetti complessi, che vanno oltre l’utilità specifica dello sfruttamento della terra. Ci sono valori in Tutto ciò che è libero e selvaggio che dipendono dall’osservazione, dalla comprensione, dalla considerazione della natura in un contesto simbiotico, come scriveva Rachel Carson in Brevi lezioni di meraviglia: “È per noi una cosa salutare e necessaria il volgerci di nuovo alla terra e nella contemplazione delle sue bellezze conoscere la meraviglia e l’umiltà”. Se “la stabilità dei meccanismi” che governano la terra resta imperscrutabile, non di meno “il criterio collettivo che definisce un buon uso della terra dev’essere qualcosa di molto più profondo e importante del profitto o della resa”. Questo è un principio fondamentale da cui discende un’ulteriore e definitiva precisazione di Aldo Leopold che, a distanza di anni, suona piuttosto come un’avvertenza, se non proprio un ultimatum: “Quando gli aspetti pratici vengono separati da quelli estetici, i quali diventano prerogativa di istituzioni ad hoc o dello Stato, le conseguenze non solo sono letali in termini di progresso sociale, ma stanno logorando le basi su cui poggia la stessa struttura della società. L’inganno trae origine da un concezione imperfetta di crescita. Tutte le scienze, le arti e le filosofie sono delle linee convergenti; quel che oggi appare separato, domani sarà unito e collegato. Un giorno, forse, scopriremo che nessuna terra mutilata sarà di nostra utilità (se ne esisteranno ancora, di terre intatte)”. Ecologia allo stato puro.
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