Con nonchalance, Ursula K. Le Guin mette in discussione il citatissimo assunto dell’incipit di Anna Karenina rileggendo il senso delle parole di Tolstoj, e l’effetto finale è sorprendente. Non solo: riesce a descrivere la menopausa con un florilegio di prospettive tali da maturare il sospetto che potrebbe scrivere di qualsiasi argomento e renderlo comunque affascinante. Questo perché la visione di Ursula K. Le Guin è una prova di forza, un’interpretazione originale che tende a schivare gli schematismi e le riduzioni. Vale prima di tutto per la fantascienza e il fantastico con la convinzione inamovibile che “chi si occupa di fantastico, che utilizzi gli antichi archetipi del mito e della leggenda o quelli più moderni della scienza e della tecnologia, potrebbe discettare, con la stessa serietà e in maniera molto più diretta di chi si occupa di sociologia, della natura umana per come è vissuta, per come potrebbe essere vissuta e per come dovrebbe essere vissuta. Perché in fondo, come hanno affermato le grandi menti scientifiche, e come tutti i bambini e le bambine sanno, è soprattutto grazie all’immaginazione che acquisiamo percezione, compassione e speranza”. Ma nei saggi radunati in I sogni si spiegano da soli c’è una costante nelle rivendicazioni di Ursula K. Le Guin, una dimensione a cui non vuole rinunciare: quella di osservatrice, di donna, di madre, tutte parti di un intero che trova sbocco nella scrittura. Chiara, precisa, fluida ed essenziale, Ursula K. Le Guin è convincente senza particolari sforzi ed è nella natura del suo stile risultare nitida ed efficace, partendo da una base solidissima, così dichiarata: “Invece della ricerca di equilibrio e integrazione, lottiamo per il dominio. Rafforziamo le divisioni e neghiamo l’interdipendenza. Il dualismo di valore che ci distrugge, il dualismo superiore/inferiore, dominante/dominato, possessore/posseduto, sfruttatore/sfruttato potrebbe cedere il passo a quella che mi appare, da qui, una modalità di integrazione e integrità molto più salutare, sensata e allettante”. Di questioni delicate, Ursula K. Le Guin ne tocca molte, dall’ambito specifico della fantascienza (“Una delle funzioni essenziali della fantascienza per me è proprio questa modalità di porre domande: il contrario del modo usuale in cui pensiamo, metafore per qualcosa che il nostro linguaggio non sa ancora denominare, esperimenti immaginativi”) alle modalità di sopravvivenza (o meno) delle scrittrici, dal rapporto con le mode all’insegnamento, dalla lettura (“Leggere implica una collaborazione silenziosa tra chi legge e chi scrive”) alla natura dei romanzi (“Nel leggere un romanzo, qualunque romanzo, dobbiamo avere ben chiaro che tutta quella roba non ha senso e poi, leggendo, dobbiamo credere a ogni parola. E una volta finito potremmo scoprire, se si tratta di un buon romanzo, che siamo un po’ diversi da come eravamo prima di leggerlo, che siamo stati un po’ cambiati, come se avessimo incontrato un viso nuovo o attraversato una strada che non avevamo attraversato prima. Ma è molto difficile dire esattamente cosa abbiamo imparato, come siamo stati cambiati”). Alcuni capitoli vivono di vita propria, come quello che offre un punto di vista definitivo sulla frontiera, una lucida visione dell’America e della sua espansione (“Vivere in un mondo che ha valore solo in quanto conquista, in un modo che è una frontiera in costante espansione senza un valore proprio, una pienezza propria, significa vivere rischiando di perdere ciò che ha valore per noi. È in quel momento che cominciamo a sentire le voci dall’altra parte, e a porci domande sul fallimento e l’oscurità”). Lo stesso vale quando affronta l’utopia, la California, le esplorazioni antartiche. Attraverso questi saggi si vede la persona dentro l’autrice, si scoprono esseri umani dietro gli Eroi e dietro i personaggi. Le opinioni sono espresse con chiarezza, precisione, acume e quel pizzico di ironia che rende meno complicato l’inoltrarsi in argomenti spinosi, compreso l’avanzare dell’età nel capitolo Corpo vecchio, zero scrittura. Il punto di vista femminile e femminista è ribadito e vale per tutto La figlia della pescatrice, che attraversa i romanzi di Louisa May Alcott, Virginia Woolf, Margaret Drabble per arrivare a dire che “si diventa un po’ fanciulleschi e irresponsabili se ti viene data la libertà di creare un mondo dal nulla assoluto (Il potere corrompe)”. L’asserzione è ambivalente e altrove Ursula K. Le Guin la completa con una visione di rara lucidità: “Forse abbiamo avuto fin troppe parole del potere e discorsi sulla vita come battaglia. Forse quello che ci manca sono le parole della debolezza”. Un bel patrimonio, da custodire con grande attenzione.
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