“L’hip hop è iniziato nella verità, si è evoluto nel mito ed è degenerato in una fabbrica di soldi” scrive Dwayne Robinson nelle prime pagine di Il complotto contro l’hip hop. Il manoscritto inedito e il fantasma del suo autore sono il fulcro segreto a cui ruota attorno la trama di Il cuore più buio e il collegamento principale con Funk e morte a L.A., ma la nuova avventura di D Hunter, nel frattempo diventato manager e imprenditore di successo, serve a Nelson George per spiegare come l’avvento di Trump sia frutto di un modello esemplare di reverse engineering dell’hip hop, avendone usato i meccanismi, l’attitudine, gli strumenti. È quello che fa il mercato e Nelson George è esplicito quando scrive che “D riteneva che Trump meritasse un posto speciale all’inferno per aver combinato l’estetica rap con il razzismo”. Ma come è possibile che un grossolano piazzista di amenità, la cui sopravvivenza “era basata sulla falsa onestà e sulle menzogne” sia stato capace di interpretare e riciclare i codici dell’hip hop in modo da stabilizzare “una connessione tra l’imprenditoria e il governo per utilizzare la cultura come uno strumento per il controllo della popolazione”? La tesi che scuote come una scossa elettrica Il cuore più buio ha radici che risalgono agli albori dell’hip hop visto che David Toop, ancora nel 1984, diceva che “la cultura di strada è sempre stata un serbatoio di brividi di seconda mano per il mercato di massa”. Quello era solo l’inizio: seguendo le indaffarate giornate di D Hunter, tra gli interessi di Lil Daye e Mama Daye ad Atlanta, gli ologrammi di R’Kaydia Lelilia Jenkins e il comeback di Night a Los Angeles, si scopre che “il mito è sopravvissuto alla verità (come spesso accade), i dettagli sono diventati confusi (anche per coloro che lo hanno vissuto) e alla fine non sono rimasti che i cliché”. L’hip hop è diventato una vena di un apparato circolatorio in cui scorre una vorticosa corrente di affari, prodotti, gadget, soldi. A confronto, l’intuizione di David Foster Wallace per cui “la vitalità del mondo del rap è fatta di successive sostituzioni, oltre che di varietà, il che permette al genere di restare nuovo anche mentre un gruppo dopo l’altro cede alle lusinghe e fa il suo ingresso nel vero mondo dell’industria musicale”, sembra persino ingenua, ma, per quanto datata, contiene ancora un grumo di verità. Il ritmo sincopato degli eventi, le trame che si sovrappongono, il business che diventa la mercificazione di ogni cosa (legale e non), soprattutto delle singole personalità è il guano in cui sguazza D Hunter. L’appariscenza estrapolata ai massimi livelli, tra il cibo vegetariano, le palestre, un’attitudine salutista e una vita spericolata, l’ambizione a entrare nella televisione, perché anche i più duri voglio una parte in un film (ma Hollywood sembra inarrivabile), fa sì che tutti siano uguali e intercambiabili anche perché “non ci sono veri custodi in America, solo venditori per i quali il modello di quest’anno è materiale da discarica dell’anno prossimo”. Se una volta l’obiettivo era il successo di un album, nell’era di Trump è diventato un posto nel consiglio di amministrazione di una multinazionale. In fondo, D è solo un messaggero e dato che “il passato non muore mai” riallaccia i rapporti con personaggi già visti in azione, e il confine tra nemico e alleato è labile. La più in forma, al momento, è Serene Powers, che si trova a lottare con un traffico di esseri umani (donne, giovani), ma è il ritorno di Ice che permette a D Hunter di saldare i conti ad Atlanta, Los Angeles e persino a New York. Pervaso dai fantasmi di Tupac Shakur e Notorious, il legame tra Ice e D ripercorre gli annali dell’hip hop sulle due diverse coste, e il fitto campionamento delle storie (e delle canzoni) di Nelson George ha trasformato Il cuore più buio in una specie di reality travestito da romanzo, dove, tra un colpo di scena e l’altro lascia emergere, grazie al suo protagonista preferito, un semplice rilievo: “La notte in cui Trump fu eletto, D sapeva che stava per succedere qualcosa. Aveva trascorso troppe notti a tenere d’occhio i bulli nei locali: se percepivano la tua debolezza, ti saltavano addosso”. Colonna sonora (obbligatoria): The Chronic di Dr. Dre.
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