La
nutrita selezione di poemi che compone Hotel
Insonnia rappresenta l’antologia
ideale per compiere un primo passo verso la conoscenza di Charles
Simic. Ci sono versi che vanno da Macelleria
del 1971 (“Qualche volta cammino a
notte fonda e mi fermo davanti a una macelleria chiusa. C’è solo
una luce nel negozio, la luce del forzato che scava il suo tunnel”)
al 1999 con Il topo nella radio
(“Dopo gli ultimi notiziari, prendi coraggio, per grattare un paio
di volte alla parete del tuo nascondiglio. Ora che le luci sono
spente, avverti il freddo, la desolata solitudine, e così porgi il
tuo quesito, o forse un saluto sentito? E resta la notte, senza
stelle, interminabile e in ogni caso senza traccia di pietà”)
nonché un’appendice di tre poesie (Gli
scritti dei mistici, Madonne
ritoccate con il pizzo e Nel
mezzo) risalenti alle sue prime
esperienze letterarie. La poesia di Charles Simic è una “spiegazione
parziale” fatta soprattutto di immagini: un Sasso,
le Angurie,
un Mozzicone di matita rossa,
una Forchetta,
un Muro,
dove “un incredibile mondo multiforme che accerchia da ogni lato”
viene riletto attraverso liriche brevi, schegge perfezionate con un
lavoro di intaglio certosino, che punta a sottolineare e a
evidenziare le sporgenze e le asperità e nello stesso tempo ad
armonizzarle. La frammentarietà (come scrive in San
Tommaso d’Aquino: “Ho lasciato
pezzi di me ovunque”) non impedisce a Charles Simic di avere una
visione completa di un mondo dove gli oggetti prendono vita, dove
“specchi & miracoli” sono, in effetti, gli strumenti per
capire, come scriveva ancora in La
vita delle immagini, che “tutti
noi siamo una sintesi di realtà e irrealtà. E tutti noi indossiamo
una maschera. Perfino dentro la nostra mente tentiamo di continuo di
nasconderci a noi stessi, solo per essere ripetutamente smascherati”.
Nel corso di Hotel Insonnia,
che non nasconde la sua precisa collocazione temporale nelle
intemperie della seconda metà del Novecento, Charles Simic si
concede spesso a volto scoperto. Succede in Scena
di strada (“Questo secolo strano,
con la sua strage degli innocenti, e il volo sulla luna, ora mi sta
aspettando, in una città strana, nella via in cui mi sono perso”)
e ancora di più in Leggere la storia
dove confessa: “A volte, quando leggo in biblioteca, intravedo i
condannati a morte dei secoli passati, e i loro carnefici. Me le vedo
davanti quelle pallide facce, come succede a un giudice che legga la
sentenza, e provo meraviglia al pensiero che ancora non esisto”. E’
proprio lì che convivono una dimensione intima, introspettiva,
persino onirica e una più scrupolosa, attenta e “politica”. Non
a caso Leggere la storia è dedicata
a Hans Magnus Enzesenberger, che potrebbe spiegare così quel
delicato equilibrio: “Ora, non si può certo far parte di tutto
ovunque, mi dico, stringo i denti e continuo a leggere”. E’ un
destino condiviso con Charles Simic che, nell’appendice di Hotel
Insonnia, svela le fonti primarie
della sua poesia: “Non esagero quando dico che non posso nemmeno
pisciare senza un libro in mano. Leggo per addormentarmi e per
svegliarmi. Ho sempre letto al lavoro, in tutti i lavori che ho
fatto, nascondendo il libro tra le carte sulla scrivania o nel
cassetto mezzo aperto. Anche nella mia bara aperta, un giorno,
reggerò un libro. Il libro tibetano
dei morti sarebbe molto appropriato,
ma preferirei un manuale sul sesso o le poesie di Emily Dickinson”.
Un’abitudine che non ha controindicazioni o effetti collaterali, se
non la crescita spontanea di una rara sensibilità.
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