Lasciate
perdere le baleniere e le prede che inseguono. Quelle navi,
secondo Giacca
bianca sono
soltanto squallide ombre all’orizzonte rispetto
alla Neversink alias
(in realtà) United
States,
fregata della marina militare americana. La distinzione, non priva di
ironia, è dello stesso Melville che trascorre una crociera di un
anno, doppiando Capo Horn e arrivando nella baia di Rio. La
descrizione di Herman Melville è fitta, nitida e particolareggiata
come un diario di bordo alternativo, frutto di quella che chiama La
ricerca della poesia tra mille difficoltà,
uno dei tanti titoli dei capitoli di Giacca
bianca già
esplicativi in sé. La vita, o meglio, “il tumulto che regna” su
una nave da guerra, è una macchinosa trattativa quotidiana con lo
spazio limitato, con le dure esigenze della navigazione e con gli
elementi, altrettanto estremi. Gente
di mare particolarmente soggetta a subire le condizioni del tempo,
sa come affrontare la burrasca e la bonaccia, ma è sempre in
difficoltà nella convivenza obbligata tra le pareti catramate del
vascello perché “qui i figli delle avversità s’incontrano con i
figli delle calamità, e qui i figli delle calamità s’incontrano
con la prole del peccato”. Con un equipaggio di cinquecento
uomini, Lo
stato sociale su una nave da guerra è
soggetto a numerose variabili, spesso contraddittorie. Gli ordini
sono perentori, l’organizzazione è disciplinata dagli articoli
di guerra,
giorno e notte sono scanditi da compiti, postazioni e turni rigorosi,
ogni errore viene corretto a colpi di frusta (anche Giacca
biacca ovvero
Melville rischierà di essere punito per una piccola amnesia). Non
c’è via di scampo: la diserzione, o soltanto un tentativo di
lasciare la nave, portano a conseguenze drammatiche, come succede al
nocchiere. Mentre la Neversink è
ancorata in porto, tenta di raggiungere la riva in cerca di avventure
notturne, ma dopo pochi metri in mare viene colpito alla gamba dal
colpo di fucile sparato da una sentinella. Nel tentativo di salvarlo,
il dottor Cuticle tenterà un’amputazione in una delle scene più
agghiaccianti di Giacca
bianca.
L’abnegazione della “gente di bordo” è raccontata in modo
epico da Melville che mette in risalto anche tutte le altre
variabili, spesso invisibili e impercettibili, con cui si sopravvive
sulla Neversink:
la benevolenza (o meno) degli ufficiali, i rituali e le
superstizioni, il contrabbando, l’alcol e quegli sprazzi di
generosità interpretati da Jack Chase, un nobile lupo di mare,
perché “in realtà una nave da guerra è una città galleggiante”.
Si nota nella somma dei dettagli, delle consegne, degli ordini che
compongono il linguaggio, un gergo che Giacca
bianca riporta
minuziosamente, ricordando “gli uomini alle aspe, quelli pronti a
incocciare le gaschette dal viradore alla gomena, quelli che alavano,
quelli al viradore, i lavativi e tutti gli altri, si arrampicarono su
per le scalette fino ai bracci e alle drizze, mentre, come scimmie
sulle palme, quelli che mollavano le vele uscivano su quegli enormi
rami, i nostri pennoni; e giù si dispiegavano le vele come nuvole
bianche dall’etere, gabbie, velaccini, velacci e stragli; e via,
forza con quelle drizze, fino a che ogni vela fu ben tesa”. Per
quanto inserito a pieno titolo nella ciurma, Melville rimane molto
polemico nei confronti della marina e, per estensione, del governo.
Le ragioni non mancano: le condizioni di vita proibitive, la violenza
delle punizioni corporali (la fustigazione, che condanna in diversi
capitoli), i ritmi massacranti, la scarsezza del cibo e del sonno,
più di tutto la distanza tra gli ufficiali (compreso un ammiraglio
alcolizzato) e l’equipaggio, lo angustiano. Herman Melville non
riesce a conciliare “l’aristocrazia su una nave da guerra” e
“la democrazia di tutte le cose”, implicita nella primordiale
idea della rivoluzione americana. Il naufragio (metaforico) è
nell’aria e Melville lo avverte quando dice che “allora finché
esisterà una nave da guerra essa rimarrà sempre il paradigma di
quanto c’è di tirannico e di repellente nella natura umana”.
Fine. La sfida sarà un’altra: al largo, dietro le creste delle
onde, s’intravede Moby
Dick.
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