Amore,
bellezza, fama, lavoro, tempo, morte, economia, atmosfera, successo,
arte: La filosofia di Andy Warhol è il vademecum per
comprendere la particolarissima ottica con cui vivisezionava la
realtà, rileggendola e trasformandola, o almeno cercando una
bellezza nei frammenti di vita, nelle brevi tregue tra un’incombenza
e l’altra, convinto che “ognuno ha il suo proprio tempo e luogo
per accendersi”. E’ proprio nelle logiche di Andy Warhol dare un
senso ad aspetti insignificanti, almeno in apparenza, della vita
quotidiana con un’attenzione di è nitida, continua, serrata. Quasi
un diario di bordo, molto scrupoloso nei dettagli casalinghi,
nell’osservazione della routine, con l’idea che, comunque, “alla
fine l’intera giornata sarà un film”. La filosofia di Andy
Warhol è tutta definita dalle immagini cinematografiche e
televisive, come se fossero (e lo sono, ovviamente) traduttori
simultanei della realtà, sfruttati però in modo creativo, o almeno
con la consapevolezza “che una volta viste le emozioni da una certa
angolazione non le si possa più considerare reali”. La percezione
di Andy Warhol è solo per il momento, una visione del tempo fondata
sul futuro e su un’immaginazione frigida (come direbbe il diretto
interessato), concentrata, precisa e proprio per tutti questi motivi,
geniale. Andy Warhol racconta la sua normalità, che è fatta delle
ossessioni di un artista, dei suoi rituali, delle misure che prende
alla sua vita, dei tempi che asseconda. La filosofia è mutevole,
come l’umore. Solo le ossessioni che restano costanti e coerenti ed
è ancora attualissima la sua dimestichezza nel generalizzare, con
ironia e leggerezza snodi esistenziali complessi, che Andy Warhol
traduce in aforismi brevissimi e pungenti. Il pop è proprio questo.
Quando scrive che “alcune persone pensano che la violenza sia sexy,
ma io non me ne sono mai accorto”, lo dice da sopravvissuto visto
che soltanto qualche anno prima. Valerie Solanas gli aveva sparato
contro tre colpi di pistola. Nello stesso modo riassume in pochissime
parole il mistero gaudioso e doloroso del cosiddetto sogno americano
spiegando come “l’America è veramente bella. Ma sarebbe ancora
più bella se tutti avessero i soldi per vivere”, che poi in realtà
si concentra e si sviluppa nell’idea del lavoro e del diventare
qualcuno. A quel punto La filosofia di Andy Warhol è a un
bivio, ma non rinuncia alla sfida, non è nella sua natura. Andy
Warhol rimane un bizzarro “self made man”, un uomo di successo,
che ha vissuto il suo ruolo sempre con un distacco regale: “Credo
di avere una concezione molto approssimativa del lavoro, perché è
mia convinzione che vivere sia già di per sé un grosso lavoro, che
non si ha sempre voglia di fare. Nascere è un po’ come essere
rapiti. E poi venduti come schiavi. La gente non fa altro che
lavorare. Il meccanismo è sempre in moto”. D’altra parte La
filosofia di Andy Warhol ha ragione di esistere in quanto
riflesso e personificazione delle proiezioni, delle contraddizioni e
delle fantasie del ventesimo secolo. La fama non è solo il
celeberrimo “quarto d’ora”. C’è molto di più nello stardom
system e nessuno è stato così chiaro come Andy Warhol nel
comprenderlo: “Oggigiorno sei considerato anche se sei un
imbroglione. Puoi scrivere libri, andare in televisione, concedere
interviste: sei una grande celebrità e nessuno ti disprezza anche se
sei un imbroglione. Sei sempre una star. Questo avviene perché la
gente ha bisogno delle star più che di ogni altra cosa”. Poi, come
scriveva nei suoi diari, “se volete sapere tutto su Andy Warhol,
guardate semplicemente alla superficie dei miei dipinti e delle mie
pellicole ed eccomi, lì sono io. Non c’è nient’altro oltre a
questo”. Resta unico, non riproducibile, e forse questo è il vero
paradosso che racconta La filosofia di Andy Warhol.
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