L’inquadratura
iniziale di Pazzo
d’amore riassume
già gran parte della narrativa di Sam Shepard:
“Una squallida stanza di un motel di terza categoria al limite del
deserto Mojave. Le pareti sono di un verde sbiadito. Il pavimento è
di linoleum marrone scuro. Non ci sono tappeti. Il letto di ferro
battuto a quattro pomi, a una piazza, è leggermente decentrato sulla
parte destra del palcoscenico e parallelo rispetto al pubblico”. Un
punto di partenza proprio in mezzo al nulla, in realtà una sorta di
capolinea, tanto per cominciare. Eddie ha fatto una deviazione di
duemilaquattrocentottanta miglia (“Duemilaquattrocentottanta”)
per andare a trovare May e lo sforzo di un viaggio tanto lungo e
impegnativo è accolto così: “Non puoi venire a fare questo casino
ogni volta. Lo fai da troppo tempo, io non ce la faccio più. Mi
sento male ogni volta che arrivi e poi sto male quando te ne vai. Sei
una malattia. E poi non hai nessuno diritto di essere geloso dopo
tutta la merda che mi hai fatto ingoiare”. Le scintille tra May,
Eddie e Martin e un po’ più in là, il vecchio, sono compresse in
una trama che è un condensato e un compendio della drammaturgia di
Sam Shepard, anche nella forma e nello stile. Il linguaggio è aspro,
immediato, spietato perché oltre al groviglio dei legami, non c’è
alternativa. Fuori resta il deserto, eppure è sempre l’opzione
migliore: “Chissà quante cose ho dimenticato. Per fortuna che a un
certo punto me ne sono andato. E’ stata la mossa migliore che
potessi fare”. Focalizzato su rapporti che non sono mai semplici,
mai lineari, mai risolti, Pazzo
d’amore è
necessario perché a modo suo racchiude tutti gli elementi
fondamentali dei copioni di Sam Shepard. Il tema è coerente con
altre battaglie tra uomini e donne, il più delle volte concluse da
sconfitte brucianti, e Pazzo
d’amore riporta
un segmento significativo quando, infine, tocca proprio a May
completare il quadro: “Non credere di cavartela così. Hai rigirato
questa storia come ti pareva, Eddie. L’hai completamente stravolta.
Adesso non sai più qual è il capo e qual è la coda. Okay, okay.
Non ho bisogno di nessuno di voi. Non ho bisogno di niente tanto già
lo so come va a finire questa storia. Lo so perfettamente come va a
finire. So esattamente come sono andate le cose, senza dover
aggiungere colpi di scena”. Rimane l’eco di una voce, quasi fuoci
campo, ed è il vecchio che chiede: “Tu inventi i sogni, non è
così?”, ma la risposta rimane comunque ambigua, un po’ dentro e
un po’ fuori, perché “una bugia è quando tu credi che quella
sia la verità. Ma se già sai che quella è una bugia allora non è
una vera bugia”. Scorticato nell’essenzialità della sua cornice,
circoscritto da Merle Haggard che canta Wake
Up dall’album The
Way I Am e
poi I’m
The One Who Loves You alla
fine, Pazzo
d’amore ribadisce
soprattutto il ritmo tambureggiante, sincopato, serrato, battuta
sopra battuta, con le frasi si incastrano una nell’altra. Una volta
immerisi nel groove, leggere Sam Shepard è come guidare nella notte
con gli abbaglianti. Il centro è illuminato quel tanto che basta da
credere di essere nella direzione giusta. Tutto intorno, c’è
soltanto l’oscurità.
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