Per
Patti Smith, il volto della maturità è un’esistenza frugale
dedicata all’arte, alla cultura, alla contemplazione, ai viaggi,
tutti strumenti utili a definire “l’amalgama di un sogno”, una
forma accarezzata spesso e altrove definita Dream Of Life. Lo
stesso M Train è un treno immaginario, che Patti Smith scopre
nel dormiveglia, una twilight zone dove si tende a ricostruire la
realtà seguendo vie misteriose. Da lì, le dinamiche del memoir, con
cui Patti Smith ha scoperto la vocazione di narratrice in Just
Kids, vengono aggiornate con maggior coraggio e il tragitto
dell’M Train porta più lontano. Se allora la figura
maschile centrale era rappresentata da Robert Mapplethorpe, qui viene
richiamata invece quella di Fred Sonic Smith. La ricostruzione del
matrimonio, forse proprio la riscrittura in sé, è accorata ed
elegiaca, e le correzioni e le omissioni autobiografiche sono
comprensibili, anche dove Patti Smith ammette che “con il tempo
spesso finiamo per identificarci con chi in passato in passato non
riuscivamo a capire”. Da quello che viene riportato in M Train,
l’intesa con Fred Sonic Smith era funzionale a un equilibrio
contraddittorio, fondato su un’idea tradizionale della famiglia che
si scontrava con le velleità artistiche e i colpi di testa di
entrambi. Come l’acquisto di uno yacht pieno di falle o il
pellegrinaggio ai Caraibi sui passi di Jean Genet, la cui figura
apre e in qualche modo chiude l’eccentrico percorso dell’M
Train. Il primo elemento indiscutibile è che, pur composto in un
piccolo caffè, seguendo una routine immutabile e una dieta dimessa,
M Train è in realtà un diario di viaggio, in un certo senso
anche di una fuga, se come dice Patti Smith, “è proprio vero: a
volte nascondiamo i nostri sogni dietro alla realtà”. Di treni,
aerei e autobus Patti Smith ne prende parecchi verso Città del
Messico, Tokyo, Berlino, Londra e Tangeri, l’approdo finale dove,
nell’incontro con Paul Bowles, M Train si svela nell’essenza
di un omaggio alla Beat Generation, almeno quanto all’inizio lo era per
Sam Shepard. I due punti di riferimento affiorano sulla superficie
dei pensieri e delle note di Patti Smith in modi diversi (impossibile
non identificare Sam Shepard nell’onirico “mandriano” che la
segue ovunque) e comunque indispensabili ad alimentarne intenzioni &
propositi: “Ho perlustrato le nicchie di gioie passate, fermandomi
a un momento di esaltazione segreta. Ci sarebbe voluto del tempo, ma
sapevo come fare”. La lettura, più di tutto: l’elenco delle
ossessioni letterarie comprende Haruki Murakami
e Roberto Bolaño, Mohammed Mrabet e Sylvia Plath e una sequenza di
riflessioni disposte sui suoi taccuini la portano a considerare che
“lo scrittore è un direttore d’orchestra”. Nel suo M
Train, Patti Smith ha il vizio di dimenticare tutto e di
ricordare così bene, seguendo soltanto l'ispirazione, senza
subordinate: “Volevo solo perdermi, diventare tutt’uno con
qualche altro luogo, infilare una ghirlanda sulla cima di un
campanile solo perché mi andava di farlo”. Allo stesso modo, alla
fine torna a casa, che vuol dire NYC, a ritrovare i piccoli riti. La
saggezza di Patti Smith è quella di essere rimasta insaziabile,
curiosa, irrazionale tanto da comprare un rudere a Rockaway Beach
appena prima dell’uragano Sandy solo perché “vogliamo cose che
non possiamo avere. Cerchiamo di recuperare un particolare momento,
suono, sensazione”. Quando non rimane nulla, ed è ora di
rimettersi in piedi, viene anche il momento in cui “il sogno deve
cedere il passo alla vita” ed è anche noia, ozio, distrazione
(“Una serie televisiva ha una sua realtà morale) eppure persino
nel suo placido tran tran casalingo M Train riesce a
trasmettere l’inconfondibile spirito dell’artista, perché “la
metamorfosi del cuore è una cosa meravigliosa, a prescindere da come
arrivi”. Con gli occhi aperti, con gli occhi chiusi.
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