Gli effetti dell’arrivo di Too
Much nel villaggio di roulotte e caravan chiamato Vita Serena sono quelli di
una reazione chimica: come iniettare una massa adrenalina impazzita in un cuore
addormentato. L’imprevedibilità di Celebration s’impenna pulsazione dopo pulsazione, anche per via
della peculiare condizione degli ospiti. Vita Serena è occupato da anziani che
vagano come ombre, e sappiamo bene che non è un paese (e nemmeno un mondo) per
vecchi. La routine è parecchio
modesta e a Vita Serena vige una calma piatta, grigia e crepuscolare ovvero
“come diceva Janis Joplin: altro giorno, stessa merda”. E’ una palude in cui le
vite sono sospese tra un nulla e l’altro. Too Much è il sasso che increspa la
superficie dell’acqua e appare incontenibile perché parte dal presupposto che
“il tempo è passato e ha rovinato questo. Il tempo è passato e ha rovinato quello. Il tempo è una cagata. E la morte è una cagata
finché non muori”. Il primo ad esserne affascinato e poi travolto è Stump alias
Bubba, un reduce della guerra di Corea, mutilato, che gestisce il Vita Serena e
che adotta Too Much, quando si presenta sulla sua soglia. Too Much è poco più
di una bambina che si manifesta
con tutta se stessa, a partire dal corpo. L’espressione della fisicità, e della
sessualità, uno dei temi ricorrenti dei romanzi di Harry Crews, è il preludio
all’escalation di mosse che portano Too Much a ribaltare il tran tran di Vita
Serena, cominciando un modo molto (molto) creativo di usare il moncherino di
Stump. Tutto perché secondo
Too Much “la noia era imperdonabile in un mondo in cui esisteva palesemente la
possibilità dell’occasione assoluta”. Non è chiaro cosa rappresenti
quest’ultima definizione, ma è proprio attraverso la propagazione dell’idea di
una “possibilità dell’occasione assoluta” che il parcheggio è attraversato da
una serie di miracoli, non tutti destinati a un lieto fine, perché “le vie
convergenti del caso” (indispensabile corollario della “possibilità
dell’occasione assoluta”) non sono così logiche. Johnson Meechum, che passava
le giornate sparando nel fango, riscopre la moglie Mabel, Justice abbandona
alle ortiche la servizievole identità da pronipote di schiavi e riscopre il
passato prossimo di pugile e Ted Johanson, passati gli ottant’anni, ricorda di
essere stato un boscaiolo capace di arrampicarsi sulla cima degli alberi e
tutti tornano a rivelare le proprie arti e mestieri, dal falegname al
borseggiatore. Con la sua esuberanza, Too Much manipola e indirizza e sprona,
ma è come se soffiasse un ultimo alito di vita. Un concentrato esplosivo per
gli anziani di Vita Serena, che si riscoprono ancora vivi, vegeti e utili ed è
quello il problema perché “il mondo sa che cosa fare del dolore. Non ha mai
saputo che cosa fare della felicità e dell’esultanza”. Episodio dopo episodio, Celebration
si evolve come una specie di
situation comedy urticante e sarcastica. Non è né bello né comodo: è sgraziato
e contorto ma ha anche un fascino particolare nell’immaginare la metamorfosi di
tutto un microcosmo di loser. Come direbbe Too Much: “Un tantino crudo, magari,
ma onesto che di più non si può”. Proprio così.
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