Si può leggere La stella di
Ratner come un’inconcludente teoria di
scrittura, fine a se stessa: un’elaborazione infinita del rapporto (non del
tutto improbabile) tra lettere e numeri, visto che lo stesso Don DeLillo ha
ammesso di aver “provato a scrivere un romanzo che non solo avesse la
matematica tra i suoi argomenti, ma che, in un certo senso, fosse esso stesso
matematica. Doveva incarnare un modello, un ordine, un’armonia: che in fondo è
uno dei tradizionali obiettivi della matematica pura”. Il sistema è solo
un’apparenza, un abbaglio o un miraggio: La stella di Ratner ha piuttosto le sembianze di un tema jazzistico su
cui piovono improvvisazioni, interludi e incognite assortite. La trama è
sintetizzata, ormai a metà del romanzo, dallo stesso DonDeLillo: “L’ombra
dell’era matematica moderna prese a stagliarsi sulle pareti imbiancate
suppergiù in contemporanea con il manifestarsi dello spirito della
ghigliottina, turbando i sogni di un esile fanciullo che in seguito si sarebbe
distinto per precisione, sgomberando con maestria il flusso regolare
dell’analisi di tante incertezze”. Si chiama Billy Twillig e sarà il genio
principale di una cosmopolita task-force incaricata di decifrare un messaggio
proveniente dai dintorni della stella di Ratner. Endor vive in un buco e mangia
larve, Hoad arriva in elicottero, Otmar Poebbels è il suo superiore ed è
seguito in ordine sparso da Simeone Goldfloss, Desilu Espy, Harouh Farad,
Kidder, LoQuadro, Mutuka alias Gerald Pence, Hoy Hing Toy e poi Celeste Dessau,
U.F.O. Schwarz, Shirl Trumpy, Viverrine Gentian, Rahda Hamadyad, Armand
Verbene, Siba Isten-Esru fino a contrazioni come Grbk o Troxl. La lunga trafila
di nomi, più che di personaggi con identità vere e proprie è una sequenza
linguistica parallela al corso aritmetico e algebrico. Con tutti loro (visto
che “i nomi raccontano storie”), Don DeLillo mette il piccolo “mago dei numeri”
al centro di un labirinto narrativo. Una folle danza di parole che comprende
“una modalità di esistenza subidiotica” piuttosto che “un’indagine sui composti
silfizzanti esoionici” o una non meglio identificata “repressione analogica
ideativa”. Un rumore bianco di perversa ironia: più ci si addentra
nell’underworld della strampalata comunità scientifica che cerca di decifrare
il messaggio alieno e più è evidente il ruolo (provocatorio) dei giocatori. A
partire da Don DeLillo “in orbita” (la definizione è usa) con la rivoluzione
che compie La stella di Ratner attorno
ai suoi romanzi: in fondo, è il frutto di “uno spionaggio poetico praticato dai
sensi per contrastare il sospetto di vuoto che alberga in noi riguardo
all’esistenza stessa”. Marshall McLuhan, una decina d’anni prima che La
stella di Ratner apparisse all’orizzonte,
diceva che “il medium è il messaggio”. Don DeLillo sostiene che “forse non
esiste alcun messaggio” e tutto quello che facciamo “in realtà, è imporre i
nostri limiti concettuali a un argomento impossibile da concludere entro i
confini delle nostre conoscenze attuali. Ci parliamo intorno. Emettiamo suoni al fine di rassicurarci. Tentiamo
di sbucciare i sassi”. Quanto agli extraterrestri, siamo sicuri che Don DeLillo
è sempre d’accordo con il famoso parere Arthur C. Clarke: “La miglior prova
dell’esistenza di forme di vita intelligente nello spazio cosmico è il fatto
che non sono mai venute da noi”. Un paradosso, ma nemmeno tanto.
Leggo solo ora il pezzo, sto finendo la Stella, la cui esistenza ignorai sino a pochi giorni or sono (nonostante abbia letto tutto DeLillo e lo adori). Pezzo geniale, complimenti! Stefano Piantini
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