Entrare nel mondo di Bob Dylan è come inerpicarsi in una foresta secolare dove tutto vive secondo cicli imperscrutabili, eppure fertili e vitalissimi. L’esperienza è sempre impressionante e forse per aggiungere qualcosa di inedito davvero utile comprensione di quella nuova lingua giova ricorrere alle parole di un critico, Harold Bloom, che ha saputo elevare l’arte della lettura a strumento di percezione: “Il linguaggio è, in misura considerevole, figuratività nascosta: ironie e sineddochi, metonimie e metafore che riconosciamo solo quando la nostra attenzione si acuisce”. Tra le infinite possibilità, questa definizione è la più pertinente e appropriata da applicare al complesso della visione dylaniana. Bob Dylan ha previsto, conosciuto, immaginato, ispirato e attraverso sogni di parole ha creato più mondi, allargando la percezione della realtà con uno strumento antichissimo, le canzoni. Tutto partendo dall’essenziale cognizione che, come diceva in Chronicles “a volte nelle canzoni si dicono certe cose anche se c’è solo una piccola probabilità che siano vere. A volte si dicono cose che non hanno niente a che fare con la verità di quello che si vuole dire, e altre volte ancora si dicono cose che tutti sanno essere vere. O magari si finisce per credere che l’unica verità esistente al mondo è che sul mondo non c’è nessuna verità”. Soprattutto nel political world moderno e postmoderno: inventare un linguaggio, creare un nuovo vocabolario, un altro modo per sistemare le storie e le parole, intese come un intero arsenale di nuovi strumenti ha tutte le caratteristiche di un atto rivoluzionario. E’ nella voce di Bob Dylan che vengono convogliate le esperienze di un’intera repubblica: ha dato una costituzione, una forma, un’identità e insieme una speranza all’evoluzione del rock’n’roll. La fusione ha avuto lo stesso effetto di un’esplosione che ha generato una galassia. Eppure rovistando nelle canzoni ancora una volta non è difficile capire che sono il frutto di un lavorìo che deve più all’osservazione che all’immaginazione, alle letture piuttosto che alle invenzioni. Nell’elaborare il suo linguaggio Bob Dylan ha concentrato una miscela che comprende leggende ancestrali e cronaca quotidiana in forma di canzone, voli pindarici e squarci psichedelici, blues e “serie di sogni”, che proprio come in Series of Dreams sembrano una confessione autobiografica del suo mestiere: “Pensavo a una serie di sogni, dove volano il tempo e il ritmo e non c’è uscita in nessuna direzione, tranne quella che con gli occhi non si vede. Non facevo chissà quale connessione, non mi buttavo in una rete di intrighi, mica niente che dovesse passare un’ispezione, pensavo solo a una serie di sogni”. La più convincente, per inciso: gli scenari costruiti da Bob Dylan sono un mondo nuovo in cui musica e scrittura si sono ritrovate plasmate in un linguaggio unico, Una soluzione che ha tutte le caratteristiche di un gesto divino o magico. Un flusso infinito e magmatico. Una fonte di energia.
mercoledì 24 agosto 2011
Bob Dylan
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento