Prevedibile fin dall’inizio quando il protagonista delle Regole di Mosca riemerge dalla campagna umbra, Il disertore è inchiodato pagina dopo pagina agli schemi piuttosto ordinari del best seller. La continuità del protagonista, l’agente segreto israeliano Gabriel Allon, e dei principali personaggi, a partire proprio dal disertore, Grigori Bulganov, e dal feroce trafficante d’armi russo, Ivan Kharkov, suggerisce già l’idea di una serie in corso e la natura stessa del romanzo è tratteggiata con una propensione al cinema che è nello stesso tempo la sua ambizione e il suo limite più evidente. Il disertore inizia (o forse sarebbe meglio dire ricomincia) con l’impreovvisa scomparsa di Grigori Bulganov nelle vie di Londra. Un disertore a cui Gabriel Allon deve la vita e il successo di una delle sue operazioni più spregiudicate, tanto dal lasciare la sua copertura di restauratore per mantenere fede a un’antica promessa. Un’impresa che implica smuovere mezzo mondo e lo scontro inevitabile con l’enigmatica realtà della Russia e più in generale del mondo frenetico e paranoico seguito all’11 settembre 2001. A prima vista, Gabriel Allon è l’uomo meno indicato, per via dei suo travaglio interiore (nonché del fatto che ha appena sposato una collega), a imbarcarsi in un’operazione che coinvolge i servizi segreti di tre o quattro nazioni con uno spreco di killer e forze speciali su tutti i fronti, però il richiamo della foresta è troppo forte, i conti in sospeso sono tanti e il suo è un lavoro che, come nota qualcuno tra le righe del Disertore, finisce solo con la morte, e a volte neppure con quella. Un colpo di scena dopo l’altro, Il disertore giunge in fretta al pirotecnico finale tra le nevi russe e un paio d’ore di intrattenimento non banale sono garantite nel prezzo. Non altro: per mantenere un ritmo incalzante e un’alta tensione continua, Daniel Silva si affida a una scrittura meccanica e alle sequenze che susseguono in modo schematico, come se fossero parte di una sceneggiatura. Anche se l’intrecchio è elaborato e svolto su tre continenti e una dozzina di paesi diversi, con parecchi spunti interessanti (soprattutto quelli legati all’attualità), l’architettura è traballante, le descrizioni sommarie, i dialoghi piuttosto scontati e infarciti di luoghi comuni. Quello che lascia più perplessi è il continuo richiamarsi a una delle più controverse operazioni dei servizi segreti israeliani, quella nota come Ira di Dio (o operazione Baionetta) seguita al massacro di Monaco del 1972. Una storia già raccontata dozzine di volte e in via definitiva nella versione cinematografica (splendida) da Steven Spielberg in Munich, a cui Il disertore attinge a piene mani, a partire dal disagio del protagonista. E’ un po’ troppo e va bene che a Daniel Silva, come a parecchi suoi colleghi alla catena di montaggio dei best seller, non è richiesto di essere Graham Greene o John Le Carrè, però sarebbe il caso di lasciare una via di fuga anche al lettore, oltre che ai suoi disertori.
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