La sua biografia è concentrata in un verso di una canzone di Warren Zevon: mandate armi, soldi e avvocati. Si tratta naturalmente di Lawyers, Guns and Money da Excitable Boy, anche se all’elenco delle priorità da spedire andrebbero aggiunte dosi non modiche di alcol e stupefacenti assortiti, adatti a tenere Hunter S. Thompson sveglio e incollato alla macchina da scrivere, “un giocattolo fosforescente”, come l’ha chiamato Screwjack, che è diventato un’estensione della sua ipertrofica personalità. Scrittore a tutto tondo, prolifico e caotico, capace di raccontare il Super Bowl o il Watergate con la stessa caustica prosopopea, Hunter S. Thompson usa uno slang bruciante, schematico, sardonico, senza mezzi termini e molto rock’n’roll per fare a pezzi i luoghi comuni del sogno americano e dell’american way of life. In Paura e disgusto A Las Vegas la trama è costruita tutta attorno al mito americano del viaggio, anche se Hunter S. Thompson, con acida ironia, lo interpreta in almeno un paio di modi. Da una parte c'è l’effettivo road movie che lo vede protagonista, a bordo di una fiammeggiante decapottabile, delle avventure lungo le strade tra Los Angeles, Las Vegas e altre proiezioni terrestri degli incubi americani. Nei passaggi strettamente automobilistici, Paura e disgusto A Las Vegas è un formidabile resoconto della varia umanità che vive ai margini delle città e lungo i bordi delle strade. Paesaggi umani bucolici che ben si accordano, nelle descrizioni al vetriolo di Hunter S. Thompson, con i panorami selvaggi e desolati della Death Valley e delle deviazioni metropolitane di Los Angeles e di Las Vegas, città che, è bene ricordarlo, sono state costruite nel deserto. Naturalmente, poi c’è un altro viaggio che Hunter S. Thompson e il suo stralunato avvocato che lo accompagna compiono in Paura e disgusto A Las Vegas ed è quello psichedelico, allucinato e distorto che viene indotto dall’uso di sostanze psicotrope di vario tipo. Attenzione, però: Paura e disgusto A Las Vegas non è affatto un’elegia sull’uso della droga perché non c'é celebrazione, rituale o esaltazione, per quanto sia figlio degli stessi anni. E’ piuttosto uno strumento per vedere con assurda lucidità una realtà diventa sempre più deformata e alienante. Così, tra visioni e incubi, emerge in Paura e disgusto A Las Vegas tutto il greve sarcasmo di Hunter S. Thompson che ha parole di disgusto per la guerra in Vietnam, per le varie amministrazioni americane e per lo stesso modo di concepire vita e morte di una nazione, gli Stati Uniti che, a differenza dell’Italia e dell’Europa in generale, oltre ai drammi umani e sociali hanno saputo creare e rispettare uomini e scrittori come lui. Per questo Paura e disgusto A Las Vegas resta un libro attualissimo e importante anche a venticinque anni dalla sua prima uscita, anno di grazia 1971. Allora come oggi “lo zoo è a pieno regime” e, parola del Doc, “sfangarla è l’unica cosa che conta (a parte queste cicatrici orribili, ma questa è un’altra storia)”. Inimitabile.
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