Dopo i non pochi figli d’arte del rock’n’roll, eccone uno che arriva dalla letteratura. Christopher Dickey è infatti figlio di James, già autore di Dove porta il fiume, romanzo da cui è stato poi tratto un film fondamentale per capire il senso estremo della wilderness (non solo americana), ovvero Un tranquillo week-end di paura di John Boorman. Del padre (scomparso nel 1997) è stato pubblicato e tradotto anche Oceano bianco, mentre la tradizione di famiglia si arricchisce del’ottimo Sangue innocente di Christopher Dickey. Già corrispondente di guerra (ha vissuto oltre un anno con un gruppo di contras, esperienza che non è augurabile nemmeno al proprio peggior nemico), poi responsabile dell’ufficio parigino di Newseek (bella vita) Christopher Dickey con Sangue innocente coltiva un personaggio, Kurt Kurtovic, votato a fare esplodere molte delle contraddizioni della cultura americana, che lo stesso protagonista sintetizza, in modo molto essenziale, così: “Le dinamiche dell’immigrazione non sono così importanti, in America, una volta che ci sei arrivato”. Gli intrecci storici, politici, in gran parte anche militari che scorrono insieme al Sangue innocente portano a svelare situazioni paradossali vissute dall’America nel suo ruolo di guardiano mondiale, con tutti i contorni di paranoie, paure, ossessioni e tormenti assortiti. Però non c’è soltanto questo in Sangue innocente, titolo pertinente che ha due o tre strati di significati da svelare. Una grossa mano ce la può dare lo stesso Christopher Dickey che in un’intervista ha così spiegato la natura di Sangue innocente: “È un romanzo sul terrorismo. Volevo scrivere di un terrorista musulmano, ma volevo togliere completamente gli elementi razzisti dell’analisi. Non volevo che i lettori vedessero subito un arabo dalla pelle scura, un tipico cliché. Così ho immaginato un ragazzo cresciuto nel Kansas, i cui genitori erano immigrati Jugoslavi dei tardi anni Quaranta. Una famiglia sfasciata: la madre alcolizzata, un padre morto giovane, lui che entra nell’esercito e diventa un ranger e parte per la guerra del Golfo, senza aver coscienza del fatto che il padre era musulmano. Poi quando muore la madre, scopre le sue radici in Bosnia e decide di riportare la guerra in America. Il fatto strano è che sono partito con l’idea di scrivere un libro sul terrorismo e sono finito per costruire una storia che parla di famiglie a pezzi, di alienazione e legami negati, di ricerca delle proprie radici, in tondo”. Kurt Kurtovic, il suo alter ego in Sangue innocente, a sua volta ha sintetizzato la questione così: “Non sei il tuo indirizzo”, e nel suo vagare per quattro continenti alla ricerca del proprio passato scopre una trama esplosiva di paradossi e connessioni. Con un finale che si articola in due segmenti: il primo che sembra già scritto per una versione cinematografica con l’happy end che l’intero mondo si augura; il secondo, più inquietante, è quello che tutti temono. Come si dice in questi casi, buon sangue non mente.
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