Gli spazi infiniti del West venduti senza pudori dominano l’immaginario americano come una terra di conquista e il mito della frontiera coincide con quella destinazione ossessiva, come se fosse una meta con un valore ben oltre le possibilità geografiche ed economiche. Uomini e animali uniti da una prospettiva traballante e pericolosa viaggiano attraverso le forche caudine della sete, della fame, delle asperità dell’ambiente e del clima, dalla siccità ai tuoni e ai fulmini fino al gelo. Devono attraversare le terre dei Comanche e i ranger del Texas sono le forze speciali, l’avanguardia, la scorta. Tra loro ci sono i giovanissimi Gus e Call all’inizio della quadrilogia di Larry McMurtry che comprende Lonesome Dove, Le strade di Laredo e Luna Comanche. Una prima spedizione, quasi un prologo, finisce in un disastro. La seconda, quella che porta a intraprendere Il cammino del morto, ha persino l’ambizione di conquistare Santa Fe. Gus e Call vagano nella prateria, con i sensi in allarme verso forme che cambiano, cercando di orientarsi in un contesto spietato, dove la conoscenza di una formazione rocciosa, di una piega della luce all’alba o dell’odore della pioggia in arrivo può distinguere tra vita e morte. È un mondo tagliente, obliquo e polveroso, dove prevale la lotta per la sopravvivenza. Il cammino del morto è un romanzo dettato dagli elementi: terra (il deserto), aria (il vento) e fuoco che si aggiungono all’acqua, quando c’è, e ancora di più quando è assente. Ai suoi ranger Larry McMurtry non risparmia niente: Il cammino del morto è una specie di ordalia senza fine, con un capolinea in un lebbrosario. La storia si racconta da sola e le prove bibliche definiscono una lunga teoria di personaggi indimenticabili non meno dei loro tragici destini perché “fare il ranger significa poter morire ogni giorno. Se non vuoi correre il rischio, conviene che ti dimetti”. Quando Gus e Call viaggiano “nella vastità del deserto, l’assottigliarsi del gruppo li faceva pensare a quanto erano piccoli e insignificanti rispetto agli spazi che attraversavano”. L’habitat, magnifico e ostile, è determinante perché “i Comanche erano padroni del loro territorio a un livello irraggiungibile per i ranger”. Si scontrano con la leggenda di Buffalo Hump, con le assurde torture di Kicking Wolf e come se non bastasse devono affrontare anche gli Apache di Gomez (non meno efferati) e l’esercito messicano comandato dal capitano Salazar che, oltre a catturarli e a punirli, si prende il compito di sentenziare: “In questo territorio siamo forestieri rispetto a loro. Sappiamo qualcosa sugli animali, tutto qua. Gli Apache sanno quali erbe mangiare. Fiutano le radici, le dissotterrano e le mangiano. Riescono a sopravvivere in questo territorio perché lo conoscono. Quando impareremo a fiutare radici e a conoscere le erbe commestibili, forse potremo combatterli alla pari”. In poche parole, “vuol dire che dobbiamo essere selvaggi, come i selvaggi”. Per la legge del contrappasso che domina la wilderness di Larry McMurtry, tutto quello che rimane è un manipolo di disperati che devono sopportare “barlumi di speranza che erano nati, ma poi anche morti; le promesse, e il fallimento delle promesse”. Gus e Call superano prove da girone dantesco, ma lungo Il cammino del morto viene forgiata la loro amicizia, un legame che sarà il tratto distintivo in tutta la saga. Finale urbolento, fantasmagorico e sorprendente nel viaggio verso San Antonio e l’oceano, un panorama simbolico opposto e complementare alla prateria, al deserto e alle montagne, ma altrettanto impossibile. Epico.
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