David Byrne scrive soltanto sulla carta millimetrata, Rickie Lee Jones compone Pirates in un’aula abbandonata, Leonard Cohen si rifugia in un monastero zen e induce tutti al miglior Ballantine, Frank Zappa armeggia con il Synclavier indeciso tra una canzone e una suite strumentale, Donald Fagen e Walter Becker (ovvero gli Steely Dan) contano il numero delle battute e i cambi di accordi: le ossessioni dei songwriter sono innumerevoli e c’è persino chi, come Suzanne Vega, si fissa su una sola tonalità (“I misteri della vita sono tutti in la minore”) e chi come Carlos Santana ha avuto la sacrosanta pretesa di “combinare la spiritualità con il piacere di muovere il culo”. Con Rock Notes, Paul Zollo le indaga attraverso incontri che vertono sulla composizione delle canzoni e sulle canzoni stesse. Il modello è Scritto nell’anima di Bill Flanagan anche se l’approccio di Paul Zollo è meno diretto, più discreto e, per certi versi, più pertinente. Le interviste seguono uno schema più o meno fisso con una parte introduttiva dedicata all’arte del songwriting e alla specifica percezione di ogni singolo musicista, poi, Paul Zollo si limita a citare una manciata di titoli e l’interlocutore passa ai ricordi e alle descrizioni dei singoli brani. Ognuno la vive a modo suo, come è naturale che sia, ma la formula di base del dialogo è fondata sul tentativo di scoprire se i songwriter hanno un metodo o degli strumenti segreti per scrivere le canzoni. Qualcuno prova a ragionarci, qualcuno no. Secondo Burt Bacharach “la musica genera la propria ispirazione”. Ci sono molti modi di affrontare le canzoni, che per tutti fluttuano nell’aria, indistinte, e c’è chi, per spiegare come funziona l’ispirazione si lascia andare a metafore ardite. Come fa, per esempio, Carlos Santana: “Perché quando invece sento qualcosa, non sento altro che quello. Non sento nient’altro a parte la musica che vuole uscire fuori. Come quando sei incinta, non t’importa niente del resto del mondo, vuoi solo donare la vita a tuo figlio. Ecco, è la stessa cosa”. Le opinioni divergono e Paul Zollo è un interlocutore accomodante che riesce a smuovere anche anche gli intervistati più sfuggenti. David Byrne gli confessa: “Se sei in grado di seguire il tuo istinto, allora vuol dire che sai cosa stai facendo”. D’altro canto, Rickie Lee Jones sembra proprio convenire, pur da una direzione opposta: “Credo che una delle cose più importanti che mi siano capitate è aver imparato che non si deve aver paura di scrivere una canzone, e non bisogna mettersi sempre in discussione”. Un caso a parte è l’intervista (toccante) a Townes Van Zandt, in particolare quando dice: “A me interessa solo catturare qualche briciolo dell’essenza della vita umana”. Sì, nelle sue parti più intime il songwriting confina con un’interpretazione della vita: chiede moltissimo in termini di tempo, conoscenza e più di tutto, attitudine, come spiega Yoko Ono: “Dobbiamo sforzarci di essere veri, questo è tutto. Essere veri non è una cosa che ti capita e basta. Ti ci devi impegnare in qualche modo”. Nelle Rock Notes di Paul Zollo, che comprendono anche le convinzioni illustri di John Fogerty, Roger McGuinn, R.E.M. e Mark Knopfler, la gamma di visuali del songwriting è ricchissima e sfumata: oltre a suggerire un livello più alto e profondo dell’ascolto delle canzoni, pare divertirsi a stuzzicare la voglia di mettere mano a una chitarra o al pianoforte per comprendere o maltrattare una progressione di note e di versi nel tentativo di percepire quella magia evocata più meno in tutte le interviste. Come procede nella realtà, lo spiegava bene Tom Petty, uno che aveva il dono geniale della semplicità e della sintesi: “Cerchi una parola migliore, un accordo migliore”. Funziona solo così, e per la poesia, le profezie ed altre illuminazioni, bisogna chiedere a Dylan, qui ovviamente citato da tutti, dall’inizio alla fine.
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