Le luci della terra si perdono nel confronto del mare perché restano avvolte in una fitta nebbia di ricordi incontrollabili, rimpianti che proliferano come fantasmi, nessuna alternativa se non un falò in riva all’oceano, e va male pure quello. Gina Berriault segue personaggi “incapaci di comprendere il mondo e ostinati al modo in cui bisognava immaginarselo”: le loro relazioni sono claudicanti e faticose e il più delle volte sono tutti sull’orlo di una crisi di nervi, con una vocazione al suicidio, neanche tanto velata. Sono obnubilati da quello che chiamano“il presagio della perdita”, il senso latente di essere abbandonati che non li lascia mai. Ilona Lewis, più di tutti, è rimasta sola: il fratello, Albert, si è trasferito a Chicago e la figlia Antonia è in viaggio sull’Himalaya. Le lettere sono scambi di parti vitali, ma non sortiscono particolari effetti mentre Ilona, convinta che “dietro l’incertezza dell’amore c’è la certezza della complicità”, insegue Martin Vandersen, amante e scrittore che sta vivendo il breve abbaglio della notorietà e un bel momento di confusione indotto dalla provvisoria fama. A dire il vero, sono tutti scrittori (anche Ilona) a diversi gradi di disperazione. Per dire, Claud, un altro amico fragile, “ogni volta che trovava il libro di uno dei suoi scrittori preferiti a casa di qualcun altro provava una fitta di gelosia, come se lo scrittore fosse stato solo suo, il suo amico più caro”. Poi ci sono Jerome, che dopo anni di tribolazioni decide di distruggere il suo manoscritto, e la stessa Ilona che nell’insistere con Martin, crede che “la felicità degli amanti era realtà, e l’immaginazione non le si avvicinava nemmeno”. Le luci della terra è un breve romanzo imperlato di dolore, ma con una consapevolezza intima della sofferenza e delle difficoltà che le persone devono superare per avvicinarsi veramente, e conoscersi. La scrittura raffinata e superiore di Gina Berriault, fatta di frasi precise e taglienti, è spietata con tutti i suoi personaggi e se impone un confronto complesso è perché “chiunque ci guidi più a fondo nell’essenza delle cose all’inizio pare un nemico”. Non si fanno sconti: anche delle innocue campane a vento portano ricordi brutali e la sincerità resta l’ultima spiaggia, almeno per Ilona: “Se ho dei problemi, e ne ho, sono di quel genere che va bene avere, perché sono umana e provo sentimenti, e quei problemi non riguardano solo me, riguardano molte altre cose più grandi di me”. Le luci della terra testimoniano passaggi delicati nella cornice di San Francisco e della costa californiana, finché Ilona non è costretta a raccogliere le spoglie del fratello a Chicago. La tragedia in sé è “un senso di vergogna per la paura della perdita e per la perdita che di fatto avevano subito” e quando lei, e Claud, e Martin si accorgono che un abbandono “era naturale quanto il respiro”, è troppo tardi e la somma di solitudini trasforma Le luci della terra in un labirinto esistenziale che Gina Berriault sa architettare con grande equilibrio, ma anche con un calore inaspettato. Molto lo si deve al carattere di Ilona che riesce ad ammettere con un certo candore: “Se chini la testa per tanti anni sull’infinità di ciò che non sai, sull’immaginazione che è il sostituto del sapere, rimarrai sorpresa quando la rialzerai, scoprendoti più vecchia di quando avevi iniziato”. È il limite implicito di un’ossessione che “si esaurisce da sola o esaurisce la sua preda”, lasciando in eredità soltanto qualche traccia sulla battigia e le scintille di un libro che brucia da solo.
Nessun commento:
Posta un commento