Di rivelazioni la “storia, epica, leggenda” del Padrino ne offre parecchie. Nella saga della famiglia Corleone, cominciata con il romanzo di Mario Puzo e arrivata ai tre film di Francis Ford Coppola si affollano moltitudini di personaggi e interpreti che legano e uniscono tutte le follie americane, dai set cinematografici di Hollywood alle strade di “quei bravi ragazzi” a New York. L’unico modo per affrontare “l’inverosimile fusione di forza bruta, scelte artistiche, esigenze di mercato, genio e fortuna sfacciata”, che ha distinto la produzione del Padrino, era “una profonda immersione in un pozzo senza fondo”. L’immagine inserita da Mark Seal nella prefazione è consona non solo all’enorme lavoro di ricerca e di assemblaggio delle fonti, ma alla natura stessa del Padrino in sé, che dalla sua apparizione sugli schermi, giusto cinquant’anni fa, è diventato un successo intramontabile, un classico e un fatto sociale. Ed è ancora più incredibile se si pensa un attimo che tutto è cominciato ed è rimasto a lungo sull’orlo del disastro. Quando scrisse Il Padrino, Mario Puzo era arrivato in fondo a un vicolo buio: aveva una famiglia da mantenere, un vizio (il gioco d’azzardo) che lo prosciugava e pochissime alternative. Grazie alla casuale indicazione di un editore, cominciò a riflettere sulla mafia e sui contenuti dei best seller che avevano “personaggi memorabili sopra le righe, linee di trama multiple e un po’ di sesso”. Nel Padrino c’è molto di più, perché, come scrive Mark Seal, “la storia che racconta è eclissata dalla storia di come è nato. Anni prima che i dialoghi venissero scritti su carta, tutto era iniziato con un corpo avvolto dalle fiamme, città atterrite dalla paura e veri criminali sopravvissuti per svelare un mondo di violenza e tradimenti al di là dell’immaginazione di qualsiasi scrittore”. Per la ricchezza delle immagini e del linguaggio, il romanzo era destinato al cinema, ma ci arrivò a sua volta dalla porta di servizio. La Paramount, che era un passo dal fallimento, acquistò i diritti per 12.500 dollari, ma nessuno voleva saperne, finché non apparve un’offerta della concorrenza (la casa di produzione di Burt Lancaster) per un milione di dollari. Quello fu il momento in cui Robert Evans, produttore della Paramount, decise di farne un film. Così funziona a Hollywood e da lì Mark Seal procede nella ricostruzione del Padrino attraverso tutte le sue fasi: le scelte di Francis Ford Coppola, le trattative economiche (che arrivarono a coinvolgere Michele Sindona) e la sceneggiatura, il casting e i costumi, la fotografia e i “posti per uccidere la gente”, le scelte di tempo e di budget, Marlon Brando e Al Pacino, le ansie e i complotti sul set, e nella realtà, i rischi e le minacce e la vera mafia, dietro l’angolo. Mark Seal ha trovato il modo giusto per rendere affascinante ogni singolo dettaglio, anche i particolari più scabrosi ed eccelle nel descrivere la realizzazione della scena del matrimonio, dove convoglia un po’ tutte le logiche del Padrino perseguite da Coppola. È molto preciso il ricordo dello scenografo Dean Tavoularis: “Voleva mostrarli come essere umani e far vedere il lato umano delle loro vite, il lato familiare delle loro vite: amare i figli e poi voltarsi e commettere i crimini più terribili e gli omicidi più brutali”. Se grazie all’appassionata e coinvolgente rivisitazione, il “making” del Padrino si legge a sua volta come un romanzo, protagonista è, alla fine, l’ossessione per il potere, declinato attraverso tutte le forme narrate da Mark Seal: non soltanto le “famiglie” (nella fiction come nella realtà), ma anche tutte le transazioni e le collusioni tra Hollywood e Las Vegas, celebrate, tra i tanti aneddoti, anche dalla rissa tra Frank Sinatra e Mario Puzo, due pesi massimi.
Nessun commento:
Posta un commento