Partendo da quella che Ta-Nehisi Coates chiama “la prospettiva degli esclusi”, Otto anni al potere raccoglie altrettanti saggi, uno per ogni anno della presidenza Obama e diventa un corposo e pensieroso vademecum per districarsi tra i limiti e le possibilità offerte dal “caos americano”. La definizione è più accurata di quello che sembra: quella di Ta-Nehisi Coates resta una visione scomoda che non fa sconti a nessuno, né ai bianchi, né ai neri, nemmeno al presidente o a se stesso (soprattutto). È drastico nel non farsi illusioni e quando dice “combatto per rimanere cosciente” è esplicito nel continuare a testimoniare l’essenza del lascito del razzismo che “non è solo un odio semplicistico. Si tratta, più spesso, dell’espressione di una profonda compassione nei confronti di alcuni e una profonda diffidenza nei confronti di altri”. Quella è Una tragedia americana che viene riletta con un continuo salto avanti e indietro nel tempo perché “la storia infrange la leggenda. È per questo che viene ignorata, mentre la fantasia è sbandierata attraverso l’arte e la politica che camuffano la malvagità per farla sembrare un martirio e trasformano il banditismo in cavalleria”, con la dichiarata, reiterata intenzione di vedere attraverso la lente della consapevolezza la realtà afroamericana. Anche se Ta-Nehisi Coates ammette che “uno scrittore cerca di convogliare tutti i suoi umori variabili, le sue emozioni e le correnti che ha dentro di sé ma, come per la musica, la complessità totale di questo pensiero è al di là della portata della narrativa”, gli articoli così assemblati mostrano una coerenza e una solidità ineccepibile nel delineare “il concentramento del disagio”. Un punto di vista che diventa predominante negli Appunti dal terzo anno quando Ta-Nehisi Coates si chiedere Perché così pochi neri studiano la guerra civile?, e dedica una bella digressione nel provare a darsi una risposta, spiegando che comunque “C’è qualcosa di intrinsecamente bellissimo nelle storie, nella loro capacità di produrre più punti di vista rispetto alle polemiche esplicite. E c’è qualcosa di umiliante nel trovarsi continuamente a gridare sono un essere umano in un mondo fondato sulla negazione di questa evidenza”. Dalla guerra di secessione alla “gentrification” di Chicago (che rasenta la pulizia etnica) fino alle valutazioni riguardo La famiglia nera ai tempi dell’incarcerazione di massa, le analisi di Ta-Nehisi Coates sono frutto di approfondimenti, di letture e di testimonianze dirette, assemblate con un metodo personalissimo nella composizione e avvincente nella lettura. Il giudizio sugli Otto anni al potere di Barack Obama rimane in qualche modo sospeso: tra speranze e delusioni, Ta-Nehisi Coates coltiva un equilibrio raziocinante, che non gli impedisce di insistere nell’idea che senza “riparazioni” e relativi risarcimenti il concetto dell’America terra dei liberi e casa dei coraggiosi resta un luogo comune molto (e pericolosamente) ambiguo. A saldo di alcune forzature, visto che “la scrittura è sempre una forma di interpretazione, una traduzione della specificità delle proprie origini, delle proprie competenze o addirittura del proprio pensiero”, o della plateale venerazione per Michelle Obama, Otto anni al potere offre una percezione singolare, lucida e forte dell’America di oggi (e di domani).
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