Tutto comincia con Dave Robicheaux impegnato nel banale fermo di un attore, Elrod Sykes, e della sua fidanzata, Kelly Drummond che guidano un po’ troppo alticci sulle strade di New Iberia. Per Robicheaux non è stata una giornata facile, avendola passata in cerca di una ragazza, poi trovata massacrata nei boschi. Qualcosa gli dice che i due eventi sono in qualche modo collegati tra loro, ma i suoi pensieri sono avvolti in una nebbia densa. Il serial killer che imperversa là fuori sovrappone le orme ai ricordi dei linciaggi, e nei suoi movimenti collega un produttore cinematografico senza scrupoli, mafiosi, prostitute e sceriffi locali premiati da una particolare ottusità. Dave Robicheaux si deve districare in questa fetida palude umana e fin tanto che prova a organizzare una versione raziocinante di sé non riesce a trovare una via d’uscita e anzi L’occhio del ciclone lo vede diventare ben presto un bersaglio. Quando si ricorda che i sogni l’hanno “portato in molti luoghi”, Robicheaux incontra un aiuto inaspettato e misterioso nel generale John Bell Hood che condivide con lui l’ossessione per quello che sta facendo, per la guerra che “non è mai finita” e l’insofferenza verso la politica. Il generale è saggio, accorto e convincente e sarebbe una guida efficace, se non fosse che è morto a New Orleans il 30 agosto 1879. Con il suo fantasma, James Lee Burke costruisce una storia parallela dove il razzismo e la schiavitù (due virus malefici che viaggiano sempre insieme) riemergono dall’humus della Louisiana, in contemporanea alle ferite sempre fresche della guerra di secessione. Il consiglio principale che lo spettro di John Bell Hood offre a Streak è questo: “Cerchi di rammentarti di una cosa. È come quando iniziano a tempestarti di ferri di cavallo e anelli di catene. Credi che il fuoco di fila non finirà mai, ma all’improvviso cala un silenzio che è quasi più chiassoso dei loro cannoni. Spero che la gravità del mio paragone non la spaventi”. Essendo costretto ad affrontare un po’ tutti, Dave Robicheaux userà le visioni per farsi guidare in uno dei suoi casi più torbidi e complessi, che affonda le sue radici proprio nei meandri dei bayou e del passato. Gli altri aiuti arriveranno da un bluesman, Sam “Hogman” Patin, che nel momento giusto canta Stagolee, ovvero la murder ballad per antonomasia, e da Rosie Gomez, un’agente dell’FBI che diventerà la sua partner fino alla fine della missione. In uno scenario nebuloso e ambiguo, dove chiunque interpreta una parte e il doppio gioco è un’abitudine corrente, lei è l’unica di cui si può fidare ma “nessuno è in grado di scegliere il proprio ruolo nella storia” e il concetto di giustizia e di vendetta tendono a sfumarsi come un tramonto sullo stagno. Quando i nemici rapiscono la figlia Alafair, Dave Robicheaux passa alle maniere forti e più che i suggerimenti del generale Hood si lascia guidare dall’istinto e dalla sua radicata conoscenza del territorio: il bayou “gonfio e giallastro”, le tempeste che lasciano una “luce ambrata”, le radure e le strade sterrate non sono soltanto i fondali, ma formano una cappa che sembra trattenere i segreti, almeno finché qualcuno non decide di sfidare anche gli incubi. Onirico, elettrico, ruvido, L’occhio del ciclone resta un bel Robicheaux d’annata.
J.L.Burke, uno dei miei noiristi americani preferiti, da questo libro Bertrand Tavernier ne ha tratto un film che ha lo stesso titolo del film, ogni tanto lo danno in televisione https://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=54883
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