Quando
Tim O’Brien sostiene che “in una storia di guerra c’è un senso
connaturato all’importanza di vita e di morte, che altrimenti uno
scrittore dovrebbe costruire in altro modo”, definisce un perimetro
molto preciso, per certi versi persino ineluttabile. L’elemento
bellico è una distorsione permanente, dove è impossibile domandarsi
se “è realtà o un ricordo del passato”, come scriveva
Josip Osti in Il libro dei morti di Sarajevo. Solo così si
capisce il contorno della bellezza sottintesa da Comma 22:
“Ero l’eroe di un film”, dice Joseph Heller. E’ una
connotazione importante, per capire, in prospettiva, come si è snoda
la sua attualità, che è quella di un classico, e non è soltanto
perché la guerra è onnipresente nei secoli dei secoli. Ricordava E.
L. Doctorow: “Quando Comma 22 venne pubblicato la gente
sosteneva: beh, la seconda guerra mondiale non era certo così, ma
quando ci trovammo impantanati nel Vietnam quel libro divenne una
specie di manuale per la coscienza dell'epoca. Si sostiene che la
letteratura non sia capace di cambiare niente, ma è certamente in
grado di influenza la consapevolezza di una generazione”. Lo
è diventato perché attraverso Yossarian, il protagonista di Comma
22, Joseph Heller è stato ben più
che esplicito nel raccontare cos’è la guerra: “Ogni nuova
giornata rappresentava una nuova pericolosa missione contro la
mortalità”. Le storie degli avieri americani nei cieli italiani
sono narrate in modo lapidario, grezzo, senza alcuna correzione di
rotta: “Clevinger era morto. Ecco il difetto principale della sua
filosofia della vita. Diciotto aeroplani s’erano abbassati
attraverso una nuvola bianca e splendente poco lontano dalla costa
dell’isola d’Elba, mentre tornavano un pomeriggio dalla
missioncella settimanale a Parma; dalla nuvola ne uscirono
diciassette. Nessuna traccia fu mai trovata dell’altro, non
nell’aria, e neppure sulla superficie liscia dell’acqua verde di
sotto. Neanche un frammento di aeroplano”. Questa è la sfida
quotidiana e non c’è via di uscita perché la burocrazia e la
disciplina sono altrettanto spietate, come è ribadito dal Comma
22, ovvero “chi è pazzo può
chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di
essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. In effetti la
follia è un’altra e “quando arrivò il momento in cui il
colonnello Cathcart aumentò il numero delle missioni di volo
prescritte a cinquantacinque, il sergente Towser cominciò a
sospettare che forse ogni persona che indossava un’uniforme fosse
affetta da pazzia”. Joseph Heller non si esime dall’affondare
nelle radici con cui è alimentata la retorica perché quando non
basta la patria, c’è sempre il richiamo alla gloria, come spiega
il colonnello Korn: “Sai, questa può essere una soluzione:
gloriarsi di qualcosa di cui dovremmo sentire vergogna. E’ un
trucco che sembra riesca sempre”. Per quanto si cerchi di
mascherare l’effettiva consistenza della guerra, la conclusione è
sempre l’inevitabile sovrapposizione con la morte, che Comma 22
celebra con un’amarezza infinita: “C’era un tempo in cui
provavo grande soddisfazione quando riuscivo a salvare la vita di
qualcuno. Ora mi chiedo che dannato senso può avere, dal momento che
devono tutti morire una volta o l’altra”. Sulla scia di Comma
22, l’avrebbe ribadito Rodolfo
Fogwill in Scene
di una battaglia sotterranea, alla fine è il
destino, non la guerra, quello di cui stiamo parlando. Obbligatorio,
oggi più che mai.
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