New
York, oggi, nei quartieri più popolosi, il Lower East Side, Long
Island, Harlem, il Bronx, confini invisibili da una marciapiede
all’altro, folla che sguscia dentro e fuori la metropolitana o è
bloccata nel traffico o è in coda al pronto soccorso. Tutta una
varia umanità di perdenti, di falliti, di piccoli criminali o, il
più delle volte, di persone per cui l’esistenza della legge è
altrettanto evanescente di quella della giustizia. Una squadra di
detective (in alcuni casi, ex) con molti conti da regolare con se
stessi, con un passato che ritorna come l’eco di una voce
sconosciuta, con un presente che, come minimo, è piuttosto
complicato, e infine con un nugolo di ossessioni e di fantasmi
onnipresenti, inseguono ancora le Balene
bianche ovvero “tutti criminali che avevano
commesso delitti osceni sotto il loro naso ed erano sfuggiti alla
giustizia”. Richard Price eleva all’ennesima potenza
l’elaborazione di un paesaggio umano nel minimo comune denominatore
di una metropoli che è sempre sorprendente nei suoi gangli storici e
architettonici e nell’assenza di regole di ingaggio che rivelano
una trappola, un agguato, un sotterfugio o un inganno a ogni angolo
ed è fatta di notti insonni, alcol (molto alcol), armi improvvisate
(e non), espedienti e coscienze tormentate. In questo habitat
pulsante e nevrotico le Balene bianche
hanno un ruolo predominante, pur essendo invisibili, e sono anche il
riflesso delle occasioni perdute, dei rimpianti, dei fallimenti
perché, come scriveva Herman Melville (uno che se ne intende, di
balene) “la città è presa dai suoi ratti, ratti di nave, ratti
di molo. Ogni civile bellezza e incanto sacerdotale che intimoriva i
cuori, legati dalla paura, soggetti a un potere migliore del potere
dell’io, questi come un sogno svaniscono e l’uomo arretra per
intere età nella natura”. Nella sua centralità, la condizione
esistenziale di Billy Graves riassume un po’ anche tutte le altre:
non sono eroi senza macchia e senza paura, anzi. Hanno anche famiglie
scomposte o disordinate con padri e figli e mariti e mogli, malati da
curare, giornate lunghissime da risolvere. Nello stesso tempo, con
un’indistruttibile vocazione all’amministrazione della giustizia
e un’aderenza incondizionata ai dettati della legge, Billy Graves è
anche la negazione delle Balene bianche
e dei rispettivi cacciatori. L’atmosfera noir (nerissima) non è
nella soluzione di un caso (anche se qui ce ne sarebbe un’ampia
scelta, ogni santa notte), è frutto della costruzione di esistenze
compresse dall’istinto della vendetta e dall’impossibilità del
perdono. Il passato riemerge, rimbomba e si ripresenta, anche uno
scambio di persona diventa la fonte di una reazione a catena di
omicidi, le vittime tendono ad autoaccusarsi, non c’è certezza che
regga, l’idea di verità vacilla e i detective sembrano ricordarsi
a fatica che nella loro formazione “in una prospettiva a lungo
termine, e al fine di formare gli uomini in modo ottimale e
prepararli a svolgere al meglio il loro lavoro, si tolleravano errori
e si passava sopra a tante azioni, proprie e altrui. Si creavano
segreti, e se ne mantenevano altri”. Balene
bianche è quasi naturalista nel cercare di
imprimere a fondo la natura di NYC e dei suoi abitanti solo che
Richard Price riesce a non perdere il senso dell’ironia e
soprattutto l’innata predisposizione ai dialoghi, dove resta
insuperabile. Sono le voci a dettare il ritmo (incalzante), a
sottolineare il carattere cosmopolita della città, a rendere il
senso del caos, fino all’ultima pagina, quando Balene
bianche trova una conclusione amara,
tagliente, perfetta in un’inquadratura che, da sola, rende l’idea
di un grande romanzo dei nostri tempi.
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