Francis
Scott Fitzgerald ha sempre avuto un rapporto ambivalente con il
racconto. Da una parte gli offriva la stessa, intensa dedizione che
distingue la sua scrittura, non un grammo di passione in meno. Diceva
in una lettera al suo agente, Harold Ober, nel 1935: “Ogni mio
racconto è concepito come un romanzo, e si basa su una particolare
emozione, su una particolare esperienza”. Altrimenti la
considerazione dei racconti era più strumentale e, nella
corrispondenza con Max Perkins, arrivava a definirli “intervalli di
spazzatura”, tra un romanzo e l'altro. Gli eccessi sono propri
dello stile e della vita di Francis Scott Fitzgerald e forse un
minimo di verità lo si legge in filigrana a quello che scrive a
proposito di Pomeriggio di un autore, in conclusione alla
bella e organizzatissima selezione di Racconti: “Il problema
era un racconto per una rivista: al centro era diventato così
sottile da essere sul punto di volare via. La trama era come salire
scale infinite: lui non aveva in serbo nessun fattore sorpresa, e i
personaggi partiti con passo ardito l'altro ieri, non avrebbero
potuto andar bene nemmeno per un feuilleton”. Eppure sono proprio
loro, i protagonisti dei Racconti a sgusciare fuori dalle
pagine, a risaltare con un'urgenza sorprendente, anche se ormai sono
poco più che fantasmi perché come scriveva in Amore caro “le
cose cambiano al punto che facciamo fatica a riconoscerle e sembra
che solo i nostri nomi restino uguali”. Succede, per esempio, ai
Kelly, i protagonisti di Un viaggio all'estero: giovani,
ricchi, annoiati, belli e dannati, viaggiano dall'Africa all'Europa
e, neanche a dirlo, la destinazione è la Costa Azzurra, anche se
sono stati avvisati che “l'unica cosa che conta è chi c'è. Un
nuovo paesaggio è bello per mezz'ora, ma poi ti viene voglia di
vedere i tuoi simili. Ecco perché certi posti vanno di gran moda;
poi la moda cambia e la gente se ne va altrove. Il posto di per sé
non conta proprio niente”. Le coincidenze sono tutt'altro che
casuali: per quanto sia assiduo nel tentativo di dissimularla nelle
sue creazioni, l'odissea di Francis Scott Fitzgerald riappare
puntuale, racconto dopo racconto, perché “la vita segue il suo
corso, al di là delle nostre intenzioni”. Disorientati, allegri,
confusi, sfuggenti, avvolti in quel mood romantico e decadente,
quella sensazione di vivere un'ultima stagione prima del crollo degli
imperi o dell'avvento di un'era in cui resteranno solo Sogni
d'inverno, gli uomini e le donne narrati da Francis Scott
Fitzgerald sanno, come scrive in Una pagina nuova che
“tutto ciò che si aggiunge alla bellezza si paga”. Per
esperienza personale, anche, che ritorna nel crepuscolare Pomeriggio
di un autore, quando rimane incantato guardando “la residenza
dello scrittore di successo”, ben sapendo, come scriveva
nell'incipit di La cosa più sensata che “il successo è
questione di atmosfera”. La sua apologia parte dalla considerazione
che “lo scrittore di cui si parla è sempre stato uno spontaneo,
nella sua professione; non riesce a pensare a nulla, infatti, che
avrebbe potuto fare altrettanto bene quanto vivere profondamente
immerso nel mondo della fantasia”. Lo stupore, nonostante gli
spettri e le sconfitte, resta immutato, senza un graffio e Francis
Scott Fitzgerald confessa: “Dev'essere fantastico avere un dono del
genere, ti siedi con carta e matita, tutto qua. Lavori quando vuoi,
vai dove ti pare”, ma poi, nella sua naturalezza, non nasconde (e
lo ribadisce) che rimane soltanto “la scoria di un sogno”. Il più
delle volte, basta quella.
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