Tra
gli effetti collaterali più subdoli e ambigui dei conflitti c'è
quella condizione, dolorosa e pericolosa, che soltanto negli ultimi
anni è stata riconosciuta nella definizione
del disturbo post traumatico da stress. La traduzione di James
Hillman in Un
terribile amore per la guerra supera
la precisione della terminologia scientifica e riporta quella
frattura nell'alveo originale, essendo
determinata
da
“un'esperienza
di un evento che va oltre la gamma della normale esperienza umana”.
La distinzione è il tema centrale di Un
terribile amore per la guerra,
un
titolo che non è provocatorio: c'è sempre una pulsione originale e
primordiale che spinge il “senso di identità” a sovrapporsi
all'identificazione con la certezza della morte, probabilità più
che prevedibile in zona di combattimento. James Hillman parte quindi
dalla considerazione che la guerra è “una condizione primaria” o
meglio, come affermava Michel
Foucault, che “la storia che ci regge e ci determina ha la forma
della guerra più che del linguaggio: rapporti di potere, non
rapporti di senso”. Un
terribile amore per la guerra ruota
proprio attorno a queste parole, come spiega a più riprese James
Hillman: “Noi pensiamo secondo la categoria
della guerra, ci sentiamo in dissidio con noi stessi e senza
rendercene conto siamo convinti che la predazione, la difesa del
territorio, la conquista e la battaglia interminabile di forze
opposte siano le leggi fondamentali dell'esistenza”. E' dove nasce
Un terribile amore per la guerra ed è dove matura la
coscienza che “la
complicità nei crimini di guerra non ha confini netti; siamo tutti
appassionati voyeur”. Non è facile accettarlo, ma è davvero così,
e lo ammette anche James Hillman: “Gli
scrittori, specialmente gli scrittori di guerra, non creano, ma
ricreano, e la lettura è insieme ricreazione e ri-creazione di ciò
che è sfuggito alla presa del presente per nascondersi nei recessi
dell'anima, di ciò che è rimosso, dimenticato”. Detto questo,
James Hillman non manca di far notare una delle contraddizioni più
feroci che implica la guerra: “è un fenomeno umano organizzato”
e d'altra parte “trasforma gli esseri umani in parti, parti di
ricambio”. Nonostante questa peculiarità, che migliaia e migliaia
di anni possono confermare, così come la nostra quotidianità, “la
guerra è permanente, non irrompente; necessaria, non contingente; è
la tragedia che fa impallidire ogni altra e che rende possibile
l'amore”. Un
terribile amore per la guerra
svela qui perché la guerra “offre percezioni già deformate, scene
già di per sé immaginative. Perciò i testimoni dicono: era
irreale, fantastico, inimmaginabile, perché l'esplosiva
imprevedibilità della guerra è immaginazione dispiegata”, o,
meglio ancora, “la guerra si nutre di immaginazione ed è
alimentata dall'immaginazione”. Il vero danno che infligge vivere
Un
terribile amore per la guerra
è, come scriveva Don DeLillo, che “la
guerra ci dice che è sciocco credere”. E'
inevitabile davanti alla realtà infinita della guerra, quella che
James Hillman descrive senza voli pindarici: “Questo è ciò che
fanno le guerre, ciò che sono le battaglie; sono le convenzioni del
saccheggio su scala mostruosa sia individuale sia collettiva, sono
implacabili comportamenti archetipici”. La
conclusione è realistica, per quanto drastica perché, pur con tutti
i tentativi di edulcorare, ridimensionare, truccare il volto della
guerra, “tuttavia
il suolo deve pur sempre essere calcato dallo scarpone del soldato. I
morti vanno pur sempre seppelliti. Nonostante la distanza, il
linguaggio astratto, le operazioni segrete, le bombe esplodono pur
sempre, i conflitti a fuoco scoppiano a pochi metri, di casa in casa,
di vicolo in vicolo, a ogni blocco stradale, ai checkpoint, sulle
rive del fiume, tra gli alberi. La guerra scende sulla terra”. Se
bisogna riflettere, tanto vale partire da lì, dove l'amore non c'è
più, e resta solo il terribile.
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