Il
corvo, con
quegli occhi che “sono
quelli di un demonio che ora sogna”, rimane una delle allegorie più
potenti e inquietanti che si siano mai elevate dalle pagine della
letteratura. Al di là dell'aspetto fantastico e gotico, ormai ben
noti, quello di Edgard Allan Poe è uno sguardo comunque coraggioso e
temerario che ha portato un raffinato ed evoluto narratore come E. L.
Doctorow a definirlo “sovversivo”. Il riconoscimento, quanto mai
appropriato, parte dalla forma, la poesia, la sua brevità, l'essenza
stessa della scrittura. Edgar
Allan Poe scriveva presentando i racconti di Nathaniel Hawthorne: “Se
fossimo costretti a dichiarare quale sia la maniera più proficua in
cui il genio superiore possa dare una dimostrazione delle sue
facoltà, senza esitare risponderemmo: nella composizione di una
poesia in rima che non superi in lunghezza quel che si potrebbe
leggere in un'ora. Il grado più elevato di poesia può esistere
esclusivamente all'interno di questi limiti”. Il
corvo
risponde a questo dettato estrapolando “un sapere remoto” da una
limitatissima porzione di spazio e e di tempo e “su fondali
violacei e verdastri, dove si manifestano la fosforescenza della
putrefazione e l'odore della tempesta”, come li descriveva Charles
Baudelaire, riesce a stagliare un'opera densa, sanguigna e spiritata.
La delimitazione diventa funzionale così com'era nelle intenzioni di
Edgar Allan Poe: “Mi è sempre sembrato che una precisa
circoscrizione
dello spazio
sia assolutamente necessaria all'effetto di un avvenimento isolato:
essa ha l'efficacia di una cornice per un quadro. Essa possiede un
indiscutibile potere nel mantenere concentrata l'attenzione e,
naturalmente, non deve essere confusa con la semplice unità di
luogo”. La dimensione è quella del sogno, quello che emerge dal
buio e nella notte e da lì, più in rilievo, la propaggine logica e
naturale della solitudine. O viceversa: Edgar Allan Poe non nasconde,
come scrive in Eulalie,
di vivere in “un mondo d'affanni” e che tutti i suoi giorni “son
delirio” (lo dice in Per
qualcuno in paradiso).
Trasmettere l'angoscia non è una missione indolore e Il
corvo
è la cronaca di una fuga verso un universo parallelo da cui non si
può fuggire: Un
sogno in un sogno,
concetto ribadito in Ulalume
(“Tutto
quel che vediamo o sembriamo è un sogno in un sogno soltanto”) e
che riporta verso La
valle dell'inquietudine dove
“non v'è nulla che immobile resti se non l'aria che resta sospesa
sulla sua solitudine magica”. Non c'è scampo, l'unico appello è
quello Alla
scienza, “in
cerca di riparo” ed è l'ultima spiaggia, l'unico appiglio
razionale, più per dovere che per altro. In effetti, aveva ragione
Lou Reed: “Di certo Edgar Allan Poe è il più classico degli
scrittori americani, uno scrittore paradossalmente più in sintonia
col battito cardiaco del nostro secolo appena nato di quanto lo sia
mai stato con quello proprio. Ossessioni, paranoie e azioni
deliberatamente autodistruttive ci circondano da ogni parte. Anche
invecchiando, continuiamo a sentire le urla di coloro per i quali il
fascino di un caos luttuoso è irresistibile”. Le ombre che
galleggiano, le foreste e le tenebre, le parole d'addio, gli odori e
i dolori sono qualcosa che si snoda dalla dimensione poetica verso
quella profetica. Un avvertimento, molto preciso.
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