L'adolescenza
è già una twilight zone piuttosto intricata, se poi è infestata da
fantasmi come capita nel corso della storia di Jonah, è facile che
diventi un inferno. L'assortimento di apparizioni è variopinto:
dallo spirito del padre a quello di un danzatore che canta (e balla)
Stayin' Alive, non senza una certa ironia, bastano e avanzano
a spiegare che “i fantasmi disorientavano, poiché non sembravano
esistere regole che governassero il loro comportamento”. Jonah
tenta di conviverci, anche se non è la missione adatta a un
adolescente che deve già affrontare tutta una speciale “preparazione
emotiva”. Gli ectoplasmi non sono l'unica presenza distorta nella
sua vita, che tende a sdoppiarsi quando si addormenta con una
velocità da narcolettico e scopre che “nei sogni non c'era niente
d'insolito, a parte la loro straordinaria nitidezza e il fatto che lo
lasciavano rinvigorito. E per questo motivo non ne parlava con
nessuno”. Le sue avventure le condivide con l'inseparabile amico
Ross, i contrasti con la madre Susan, tanto apprensiva quando
evanescente, e in questa rete di connessioni e legami, secondo lo
stesso Mark Sullivan, “i fantasmi non sono che la manifestazione
esteriore delle insicurezze e della fragilità dell'adolescente
Jonah”. In questo senso, rende bene nelle peripezie di Jonah
quella condizione precaria, vacua, irridente che si riflette
nell'ondeggiare insensato degli spettri e si traduce in un linguaggio
grezzo, caotico, anche acerbo, degno di un esordio che arriva con il
proposito di scompigliare un po' le regole del gioco. A questo stadio
contano molto di più le idee e qui ce ne sono parecchie che
fluttuano attraverso gli ectoplasmi, a partire dalla loro connivenza
con il tubo catodico della televisione fino all'identificazione con
la fragilità dell'adolescenza e lo scontro con l'impenetrabilità
del mondo degli adulti. Jonah e i suoi fantasmi sono quasi archetipi
e lo svolgimento caotico, episodico del romanzo è una diretta
conseguenza della rispettiva instabilità. I fantasmi di Mark
Sullivan non hanno le fondamenta scientifiche di quelli di Richard
Matheson né i contorni romantici di Stephen King di cui Mark
Sullivan condivide la concezione del fantastico come “la
celebrazione di quelli che sentono di poter esaminare la morte perché
essa non risiede ancora nei loro cuori”. A quel punto Mark Sullivan
mette i fantasmi su un fondale fluttuante rispetto alla storia di
Jonah e l'evoluzione naturale li trasforma in proiezioni della sua
delicata condizione: sono sornioni, (a volte, proprio idioti) vanno e
vengono senza meta e senza motivi, solo col progredire della sua
percezione e della sua consapevolezza le creature cominciano a
trasformarsi e la loro metamorfosi racconta infine che solo il dolore
è reale. Con un tocco non indifferente di psichedelia, Con chi
parli, Jonah? è un esordio
stravagante soltanto in apparenza, una divagazione molto intuitiva
nel fantastico, utilizzato come strumento per condurre un romanzo di
formazione per vie insolite, eccentriche ed accattivanti.
Secondo me la piccola e media editoria danno sorprese interessanti e originali, sono da tenere d'occhio, come il tuo blog! Ciaoo
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