La cronaca
della morte annunciata di Dad, un
uomo che ha respirato “prateria, vento e polvere” in una vita
dedicata al lavoro e alla famiglia comincia seguendo i ritmi tiepidi,
sonnolenti, desertici dell'heartland americano. L'unico sbalzo, nelle
pagine iniziali di Benedizione (molto
vicine alla perfezione) è solo un malore che coglie Mary, la moglie.
Niente di grave: una volta ricoverata “non trovarono nulla di
anomalo, salvo che era vecchia, lavorava troppo e occuparsi da sola
del marito l'aveva sfinita”. Ogni frase di Kent Haruf circoscrive
un momento, un'area, un pensiero nel mettere in scena, proprio con
una prospettiva teatrale, “la preziosa normalità”. La sua
ricostruzione è intensa nell'individuare i dettagli e nello stesso
tempo lancinante e commovente nel seguire le tracce invisibili dei
legami prima e delle odisse di ogni singolo personaggio poi, con “i
piccoli drammi, le loro abitudini”. Cosa c'è di strano nella vita
Mary e Dad l'hanno scoperto insieme nell'alveo di un matrimonio lungo
mezzo secolo. Cosa può rivelare il lungo crepuscolo e l'inevitabile
fine appartiene alla mappa dei ricordi, dei rimpianti, delle promesse
mantenute e di quelle mancate. Quando la storia di Clayton irrompe
senza preavviso Benedizione tracima,
lasciando scorrere le storie di sotterfugi, tradimenti,
riconciliazioni e facendosi permeare dalla realtà della guerra del
ventunesimo secolo, dalla discriminazione, dalla sofferenza. Clayton
era un commesso nel negozio di ferramenta di Dad. Scoperto a rubare,
viene allontanato senza appello dallo stesso Dad perché il suo
gesto, le sue inutili e tardive rimostranze lo fanno “dubitare di
tutto il dannatissimo genere umano. E non è così che la voglio
pensare”. Altre vicende si sovrappongono e si sviluppano in
parallelo e in perpendicolare al tema centrale di Dad e Mary (la
lunga e dolente parentesi del reverendo Lyle Wesley, della sua
famiglia e della sua chiesa) e Kent Haruf lima le pagine parola per
parola: i dialoghi appaiono ruvidi, persino monchi, quasi segmenti di
linguaggio in domande e risposte di poche sillabe. Non facile. Non
comodo. Per capire il paesaggio letterario (e non solo) di
Benedizione serve
quella definizione, eccezionale, di Sherwood Anderson nei Canti
del Mid-America: “C'è
una storia che gli uomini non possono raccontare, donne stanche la
raccontano, uomini stanchi la raccontano, echi di storie rimbombano
nelle sale delle anime, narrano di fantasmi alla porta della cucina,
fiochi laggiù nell'oscurità”. La frugalità della scrittura di
Kent Haruf sembra ricordare la necessità di risparmiare i “giorni
felici” di Schopenauer, quasi di rallentare, se non proprio di
fermarsi, per vedere, per ricordare, per carpire ancora una volta “la
gentilezza e la dolcezza reciproche tra le persone. Lo scorrere lento
del tempo in una notte d'estate. La vita normale”. Anche se non è
quella la Benedizione,
che è sempre ambivalente. La Benedizione
è la pioggia, verticale, inevitabile come la morte e la vita, e
nello stesso modo a doppio taglio, perché sulla pianura orizzontale
qualcuno sta mietendo e qualcuno sta aspettando, la fine, l'inizio.
Un romanzo duro, aspro, acuto. Straordinario.
Sto leggendo il libro. Straordinario veramente. E ieri sera, riprendendolo, a pagina 117 o giù di lì, mi annotavo questo pensiero "mente leggo sento che questo ,ibro mi sta aiutando. non a qualcosa di specifico. al tutto. ed è una sensazione bellissima".
RispondiEliminasono emanuela . ci ha presnetato gianni zuretti allo spazio teatro 89 un paio di settimane fa.
Sono contento Manu, a questo punto devi leggere il secondo romanzo della trilogia. Allora servo a qualcosa! È comunque Marco non teme rivali sulla letteratura anglo americana!
RispondiEliminaGrazie a Manuela e al maestro che è troppo buono e giusto.
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